Gulag for profit. La tolleranza zero di Trump contro i migranti: due miliardi d’incassi

Gulag for profit. La tolleranza zero di Trump contro i migranti: due miliardi d’incassi

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L’America di Trump e il business dei campi per migranti

WASHINGTON. Nell’oceano di erba grama e polvere fra Texas e Messico, sotto tende di fortuna o dietro gabbie col filo spinato, prosperano grazie alla “tolleranza zero” di Donald Trump gli scafisti di terra, le corporation che hanno l’appalto dei lager per bambini e adulti immigrati senza documenti e ne ricavano miliardi. C’è un crescente business dietro la retorica dell’America First e della deterrenza spinta separando i figli da genitori voluta da Trump, una scelta che anche la figlia Ivanka ha definito «la peggior decisione mai presa da mio madre». Sono società legali, quotate a Wall Street, soprattutto due, la Core e la Geo, aziende che dopo avere sfiorato il fallimento nel 2016 quando la presidenza Obama promise di togliere gli appalti, hanno puntato centinaia di migliaia di dollari – 256 mila la sola Geo – sulla vittoria di Trump e sulla sua guerra all’immigrazione, e hanno vinto il jackpot. Due miliardi di dollari pubblici sono piovuti su di loro attraverso il ministero della Giustizia e le amministrazioni degli Stati e i titoli della Geo sono lievitati dal 14 per cento in Borsa.

Questa realtà dei “Gulag for Profit” che prospera anche fuori dai campi di frontiera e si estende all’intero sistema carcerario, dove l’8 per cento del 2,3 milioni di detenuti sono affidati a carceri costruite e gestite da privati, è una notizia che raramente esce dai confini delle realtà locali e dalle pagine dei quotidiani di Houston, Dallas o San Antonio per approdare nei porti del discorso nazionale. E se non fosse stato per quei tremila bambini sotto i cinque anni, che in un audio abbiamo sentito piangere invocando la “tia” o la “mamà’, l’indifferenza e l’accettazione della economia della pena sarebbe rimasta lontana dagli occhi dei buoni cittadini. Solo nel Texas, prima linea nella guerra ai “clandestini”, sono 170mila i clienti forzati che le autorità federali forniscono agli amministratori di questi barconi di tela o cemento immobili nell’oceano della prateria. Quando gli agenti dell’ICE, la polizia di frontiera per l’immigrazione, la “Migra” nel linguaggio dei nomadi senza documenti, acciuffa gruppi o famiglie di illegali, separa i bambini dagli accompagnatori adulti e li consegna agli impiegati di queste aziende che li sparpagliano negli accampamenti di fortuna, simili ai primi campi di Guantanamo, o negli edifici abbandonati, megastore chiusi, ospedali chiusi, scuole in disuso, e trasformati in lager, nell’attesa di processi, deportazioni o, per i bambini, di affidamento o di consegna ai servizi sociali. Ci sarebbe un ordine delle corti federali che obbliga il governo a ricongiungere i più piccoli con i genitori, ma nel caos e nel passamano fra ICE e scafisti di terra centinaia di famiglie sono state sbriciolate. Nessuno sa quanti siano i bambini oggi amministrati dai privati e il totale arriva a 750, ma in molti casi le loro madri, zie, padri sono già stati da tempo deportati oltre frontiera. Grandi drammi umani, dalle guerre alle migrazioni, generano nella storia grandi profitti sulle sofferenze e le migrazioni di massa non potevano fare eccezione. Per ogni detenuto, Core e Geo incassano 25 mila dollari l’anno, più di due mila dollari al mese e fondi di investimento come la Vanguard hanno, con cinica lungimiranza, acquistato le loro azioni, sapendo che nel tempo di Trump e della psicosi collettiva anti migratoria avrebbero reso bene. La robusta circolazione di danaro tracima in politica, dove le due maggior corporation e la miriade di più piccole aziende richiamate dal colore dei soldi finanziano candidati repubblicani alle parlamentari del 6 novembre, per assicurarsi che la “tolleranza zero” continui e con essa il rifornimento di “prodotti umani” da sfruttare.
Anche se l’appalto a privati della carcerazione a bassa sicurezza, sul genere dei lager texani di oggi, è precedente all’Amministrazione Trump, dopo il 2015 una grandinata di cause e denunce contro queste società aveva fermato e invertito la tendenza a privatizzare la detenzione.
L’infatuazione per gli appalti delle carceri a società “for profit” aveva conosciuto una gelata nel 2007 quando il caso di un giudice della Pennsylvania, Mark Ciavarella, aveva rivelato quanto fosse grande la tentazione di spedire in carcere giovani per reati minori in cambio di bustarelle. Il caso, ribattezzato “Kash fo Kids”, soldi per ragazzi, era costato l’ergastolo al giudice.
Finire nell’abbraccio di un sistema penale privato o gestito dall’amministrazione pubblica non cambia la natura della sofferenza e della disumanità delle nuove politiche di separazione forzata decretata nel marzo scorso da Trump e l’oscenità di segregare bambini per dissuadere i genitori rimane un’enormità chiunque amministri il carcere. Ma il pensiero che le lacrime di quei piccoli in gabbia si trasformino in dollari per azionisti rende questa realtà non s

* Fonte: VITTORIO ZUCCONI, LA REPUBBLICA



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