Attentati a Tunisi a cento giorni dalle elezioni, il presidente colpito da malore

Attentati a Tunisi a cento giorni dalle elezioni, il presidente colpito da malore

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Tre attentati e il presidente ricoverato per un grave malore, dato per morto e poi «resuscitato» dalle note ufficiali: ieri la Tunisia ha vissuto ore pesanti, il giorno dopo il quarto anniversario della strage sulla spiaggia di Sousse e a poco più di tre mesi dall’inizio di una lunga tornata elettorale per il rinnovo di parlamento e presidenza.

In mattinata due esplosioni hanno scosso il caldo giovedì di fine giugno della capitale. Due kamikaze si sono fatti saltare in aria uccidendo un poliziotto e ferendo 11 persone, un bilancio che poteva essere molto più alto visti i luoghi colpiti: nel cuore di Tunisi, tra Rue Charles de Gaulle e Avenue Habib Bourghiba (un morto e sette feriti, di cui tre civili) e la sede della guardia nazionale nel distretto di al-Qarjiani (quattro ufficiali feriti).

Poco prima, all’alba, veniva colpita Gafsa, a sud: un commando armato ha sparato sui militari a protezione delle infrastrutture di trasmissione su Monte Orbata, senza conseguenze.

E mentre si speculava sulle possibili responsabilità, un’ultima ora attraversava i media tunisini: il 92enne presidente Beji Caid Essebsi ricoverato in gravi condizioni. Nel primo pomeriggio la morte di Essebsi era data per certa dai quotidiani nazionali, per essere smentita dal consigliere alla presidenza, Firas Kafarash, e dal portavoce Saida Garrache. Hanno parlato di condizioni «gravi» ma «stabili», mentre il parlamento convocava i capigruppo per discutere degli attentati e della salute del presidente.

Di certo si sa poco. Presidente dal 2014, la scorsa primavera Essebsi si era tirato fuori dalla corsa. Ma la situazione politica interna non è affatto stabile: nell’ultimo anno la coalizione di governo – l’islamista moderato Ennadha e il laico Nidaa Tounes (di cui Essebsi è leader) – ha perso pezzi importanti a partire dal premier, Youssef Chahed, che a settembre è uscito da Nidaa Tounes per creare un partito tutto suo, Tahya Tounes, portandosi via 40 deputati.

Ma a creare malcontento è soprattutto l’incapacità di portare avanti riforme strutturali che superino le tradizionali piaghe tunisine: corruzione, alta disoccupazione giovanile, disuguaglianze socio-economiche, marginalizzazione delle aree periferiche. Elementi utili in questi anni a spiegare la scarsa affluenza alle ultime tornate elettorali, l’alto tasso di giovani facilmente reclutati dall’allora rampante Stato islamico e la costante emigrazione all’estero.

Non aiuta l’ormai perenne stato di emergenza, dichiarato durante la primavera tunisina del 2011 fino al 2014 e poi reintrodotto senza soluzione di continuità dal marzo 2015 quando il museo Bardo fu teatro di un brutale attentato targato Isis. L’ultima estensione è del 5 giugno scorso, per un altro (l’ennesimo) mese.

Anche stavolta non sono mancate le contestazioni: lo stato di emergenza ha permesso alle autorità tunisine di bypassare la legge, compiendo migliaia di arresti, perquisizioni illegittime, coprifuoco, sospendendo il diritto di sciopero e assemblea (sfidate, però, dalle piazze dei lavoratori) e le attività di movimenti e ong. Una realtà che potrebbe essere ufficializzata dal disegno di legge presentato al parlamento che sostituisce il decreto presidenziale del 1978 sullo stato di emergenza, giudicato incostituzionale perché arbitrario e incostituzionale.

Il rischio concreto dopo gli attentati di ieri è arrivare alle parlamentari del 6 ottobre e le presidenziali del 17 novembre ancora sotto stato di emergenza. E con meno candidati del previsto. È di dieci giorni fa l’approvazione di un emendamento alla legge elettorale che impone una soglia di sbarramento del 3% per le politiche ed esclude dalla corsa alla presidenza chi possiede mezzi di informazione e chi controlla enti di beneficenza.

A restare fuori sarebbe Nabil Karoui, proprietario della tv Nesma, dato in testa dei sondaggi. Sarebbe, perché manca la firma di Essebsi. Se dovesse morire, l’emendamento salta e si andrebbe al voto anticipato.

* Fonte: Emma Mancini, IL MANIFESTO



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