Archeologia criminale. Le misure di sicurezza, un reperto da cancellare

Archeologia criminale. Le misure di sicurezza, un reperto da cancellare

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Si presenta oggi a Firenze in Consiglio regionale una ricerca sulle misure di sicurezza, dal titolo significativo di Archeologia criminale. Si è trattato di esplorare istituti arcaici, ma ancora utilizzati, del nostro sistema penale, destinati a gestire la cosiddetta “pericolosità sociale”.

Previste dal Codice penale del 1930 con lo scopo di contenere gli autori di reato considerati portatori di un certo livello di “delinquenza” o dichiarati “incapaci di intendere e volere”, le misure di sicurezza costituiscono uno degli ambiti più delicati su cui intervenire nella prospettiva di riformare il nostro ordinamento penale e penitenziario. Purtroppo le proposte di riforma elaborate dagli Stati Generali dell’esecuzione penale nel 2015-2016 sono rimaste lettera morta. Una sorte comune ad altri temi qualificanti come il diritto all’affettività.

Il sistema resta quello del 1930, per quanto reso meno autoritario dai numerosi interventi della giurisprudenza, e con le uniche, pur rilevantissime, modifiche legislative che hanno portato alla chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari (Leggi 9/2012 e 81/2014), sostituiti dalla libertà vigilata a scopo terapeutico e dalle misure di sicurezza detentive da scontare all’interno delle REMS.

Nonostante questi passi avanti il sistema continua a generare gli effetti per i quali era predisposto: sia le misure psichiatriche che quelle ordinarie, pur essendo teoricamente diverse nei presupposti e nella funzione, portano entrambe all’internamento. Questo risultato non è più accettabile in un ordinamento che afferma come propri principi il diritto alla salute per i pazienti psichiatrici e la finalità risocializzatrice della pena per i condannati.

L’Ufficio del Garante per i diritti delle persone private della libertà personale della Regione Toscana ha ritenuto di togliere il velo che copre la questione irrisolta delle misure di sicurezza attraverso uno studio del loro funzionamento attuale.

La ricerca sulle misure di sicurezza per imputabili e non imputabili si è incentrata su due luoghi significativi, la Rems di Volterra e la Casa lavoro di Vasto, nella quale sono internati più del 40% dei soggetti per i quali è in esecuzione la misura della casa di lavoro a livello nazionale.

Si sono esaminati i fascicoli degli internati presenti, i reati commessi, le caratteristiche socio-economiche, le motivazioni delle proroghe: ne emerge un quadro di una popolazione internata non giovane, proveniente da contesti di povertà economica e culturale, che resta invischiata nel circuito delle misure di sicurezza per il micidiale meccanismo delle proroghe, e con poche opportunità reali di uscirne. Insieme al paradosso di una casa di lavoro in cui manca il lavoro. Nel caso degli imputabili il “doppio binario” può portare a scontare di fatto una pena doppia: prima la pena comminata in sentenza, poi la misura di sicurezza, per un tempo quasi senza fine.
Una soluzione più limpida sarebbe quella di utilizzare lo strumento delle misure alternative, un affidamento terapeutico; per questo occorre colpire alla radice il “doppio binario” e ribadire che la responsabilità (anche affievolita) è terapeutica.
La proposta che emerge dal nostro studio è quella dell’abolizione delle misure di sicurezza per i soggetti imputabili, mentre per le misure psichiatriche si suggerisce l’abolizione nell’ambito di una riforma complessiva del Codice penale, che elimini la non imputabilità e responsabilizzi anche i soggetti con patologia psichiatrica, dando nello stesso tempo gli strumenti e gli spazi per la cura.
La ricerca condotta da Giulia Melani e Evelin Tavormina e gestita dall’AVP si inserisce in un percorso di approfondimento di molti anni. Rappresenta un patrimonio di riflessione teorica e offre un quadro di dati elaborati in modo raffinato che consentono scelte di riforma.

* Fonte: Franco Corleone, Katia Poneti, il manifesto



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