Il rapporto riassume e riordina quanto la Commissione ha mostrato nelle udienze trasmesse in diretta tv, dettagliando quello che ha definito il «piano in più parti» dell’ex presidente per ribaltare il risultato delle elezioni del 2020.

IL RAPPORTO arriva dopo 18 mesi di indagini e contiene anche delle raccomandazioni di mosse legali e cambiamenti istituzionali da apportare, per garantire che nulla di simile possa ripetersi in futuro, inclusa la raccomandazione di impedire a Trump di ricoprire delle cariche pubbliche, proprio a causa del ruolo chiave che ha giocato nell’incitamento all’insurrezione.

Tra le raccomandazioni, infatti, c’è quella di una revisione dell’Insurrection Act e del rafforzamento del 14° emendamento, per cui chi ha cospirato contro lo Stato non può ricoprire cariche pubbliche.

La Commissione d’inchiesta ha anche chiesto che il Congresso approvi una legge ad hoc per dare alle commissioni più potete nel convocare testimoni e aumentare le sanzioni contro chi minaccia i lavoratori dei seggi elettorali.

Dopo un anno e mezzo di investigazioni e udienze e un processo mediatico che ha avuto una progressione lenta ma costante, la Commissione d’inchiesta ha mostrato un’accelerazione inusuale causata dall’arrivo della nuova maggioranza repubblicana alla Camera che si insedierà a gennaio, mettendo fine a tutti i lavori di indagine su Trump.

ALLA FINE dell’ultima udienza, andata in onda in diretta solo qualche giorno, fa la Commissione ha anche riferito che nell’anno che ha preceduto l’attacco del 6 gennaio ci sono stati almeno nove incidenti in cui dei manifestanti di estrema destra sono entrati nelle sedi governative con la forza, in Michigan, Idaho, Arizona e Oregon, e che in questi episodi erano coinvolte persone che hanno poi partecipato all’attacco al Campidoglio.

Anche se i deferimenti in sé non costringono il Dipartimento di Giustizia a intraprendere un’azione legale, rappresentano comunque un’indicazione inequivocabile: la Camera ritiene l’ex presidente colpevole di crimini e questi crimini lo rendono inadatto a ricoprire cariche pubbliche.

Nel rapporto sono condensate in otto capitoli tutte le testimonianze e le prove presentate dalle oltre mille persone che sono state sentite in questi 18 mesi e si sostiene che, inizialmente, il piano orchestrato da Trump per rimanere alla Casa bianca prevedeva pressioni sui funzionari statali, sul Dipartimento di Giustizia e sul vicepresidente.

E che alla fine, quando nessuna delle macchinazioni ha sortito l’effetto sperato, come ultima spiaggia il tycoon ha lanciato un appello alla sua base, in modo che agisse con violenza e in suo nome.

NELLE CONCLUSIONI viene affermato che Trump, parlando ai sostenitori dopo averli invitati a «riprendersi il nostro paese» e a «camminare lungo Pennsylvania Avenue», ha attaccato gli agenti dei servizi segreti che avevano improvvisato una squadra di protezione «per attraversare la folla» nel caso in cui il presidente si fosse recato tra i dimostranti, mentre altri agenti stavano creando un piano di emergenza «se le cose non fossero andate per il verso giusto».

Dopo di che, si legge più volte nel rapporto, Trump era del tutto consapevole che le sue azioni «erano illegali», e che una volta che l’attacco era in corso, non ha mai ordinato il dispiegamento della Guardia Nazionale per sedare la rivolta, nonostante le sollecitazioni dei suoi consiglieri e collaboratori principali.

OLTRE A QUESTO rapporto la Commissione ha anche rilasciato più di 40 trascrizioni di testimonianze, che evidenziavano come quasi tutti i più stretti collaboratori e i principali sostenitori di Trump hanno invocato il 5° Emendamento, quello che dà la facoltà di non rispondere alle domande degli inquirenti per non autoincriminarsi.

Tra questi ci sono l’ex consigliere per la sicurezza nazionale Flynn, il leader di Oath Keepers Stewart Rhodes, il leader dei Proud Boys Enrique Tarrio, il fondatore del sito cospirazionista Infowars Alex Jones, gli avvocati John Eastman e Jenna Ellis e l’ex consigliere della campagna di Trump Roger Stone.

* Fonte/autore: Marina Catucci, il manifesto