Gaza Nord. Distrutti da Israele già 52mila case, Hamas libera due ostaggi
Beit Hanoun è la più colpita con circa il 60% dei suoi edifici distrutti o danneggiati. 1.417 i palestinesi uccisi nei bombardamenti. Sono due donne statunitensi, madre e figlia, gli ostaggi consegnati da Hamas alla Croce Rossa
GERUSALEMME. Beit Hanoun scompare colpo dopo colpo, casa dopo casa. Gli abitanti della cittadina nel nord est della Striscia di Gaza sono scappati, tutti o in gran parte, nei giorni scorsi, dopo l’intimazione a lasciare le loro abitazioni e a dirigersi a sud giunta perentoria dall’esercito israeliano. E rischiano di tornarci tra anni o forse mai più se Israele costituirà una «zona cuscinetto» nel nord della Striscia. I bombardamenti cominciati dopo l’attacco di Hamas al sud di Israele il 7 ottobre, hanno già distrutto o danneggiato gravemente 52mila alloggi. Lo denuncia Euro-Med Monitor. Prima dei raid aerei, afferma il centro per i diritti umani con sede a Ginevra, il numero di unità abitative nei governatorati di Gaza e di Gaza Nord era di circa 260.000. Oltre un quarto della stessa area è stata distrutta e il 20% delle case non sono più abitabili. Beit Hanoun è la più colpita con circa il 60% dei suoi edifici distrutti o danneggiati. Numeri destinati a moltiplicarsi nei prossimi. E che si aggiungono a quelli delle distruzioni anche a sud della Striscia. Si calcola che un milione di palestinesi non abbiano più una casa. Lo stesso portavoce militare, Daniel Hagari, ha affermato che i raid aerei su Gaza avvengono «ad un livello mai registrato in decenni». Sei relatori speciali dell’Onu per i diritti umani ieri hanno accusato Israele di aver commesso crimini contro l’umanità a Gaza. «Non ci sono giustificazioni per questi crimini e siamo inorriditi dalla mancanza di azione da parte della comunità internazionale», scrivono in una nota.
Governo Netanyahu e comandi militari ripetono che cambieranno la faccia di Gaza per sempre e di voler combattere Hamas fino a distruggerlo per ottenere la liberazione dei 203 ostaggi israeliani e stranieri presi il 7 ottobre dal movimento islamico. Ieri il braccio armato di Hamas, grazie alla mediazione del Qatar, ha rilasciato per motivi umanitari due donne, Judith e Natalie Raanan, madre e figlia con doppia cittadinanza statunitense e israeliana. Le due donne sono state consegnate alla Croce Rossa Internazionale. Giunte in Egitto, erano attese nel corso della notte in Israele.
Uno sviluppo che non frena in alcun modo le offensive militari israeliane all’orizzonte. Sul terreno, intorno a Gaza, tutto lascia pensare che l’invasione sia questione di giorni se non di ore. Lo conferma indirettamente anche la decisione di Israele e Stati uniti di non prendere parte al «vertice di pace» in Egitto. Il governo Netanyahu, forte dell’appoggio a tutti i livelli ottenuto mercoledì da Joe Biden, non ha alcuna intenzione di andare al cessate il fuoco come vorrebbero l’egiziano Abdel Fattah el Sisi e re Abdallah di Giordania, entrambi preoccupati dalla possibilità che la guerra si concluda con l’espulsione verso i loro paesi di centinaia di migliaia di palestinesi, non solo da Gaza anche dalla Cisgiordania. Gli scenari futuri da tenere in considerazione sono molteplici.
Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ieri ha detto che raggiungere gli obiettivi di Israele non sarà né rapido né facile. «Rovesceremo l’organizzazione di Hamas. Distruggeremo la sua infrastruttura militare e governativa. È una fase che non sarà facile. Avrà un costo», ha detto ai membri di una commissione parlamentare. A sostegno della guerra di Gaza, Joe Biden invierà al Congresso una richiesta di emergenza per approvare nuovi finanziamenti a sostegno di Israele ed Ucraina. Allo Stato ebraico andranno 14 miliardi di dollari in armi e aiuti statunitensi. Durante il suo discorso alla nazione il presidente Usa si è rivolto a «Tutti gli attori nella regione» che, ha detto, devono sapere che Israele è «più forte che mai e questo contribuirà a prevenire ulteriori escalation». Eppure il suo appoggio incondizionato a Israele comincia a generare fibrillazioni nella capitali arabe alleate degli Usa e in quelle che hanno normalizzato le relazioni con Tel Aviv. Nei giorni successivi al 7 ottobre, Emirati e Bahrain avevano condannato Hamas. Poi, spiegano gli analisti arabi, le parole di Biden che hanno escluso categoricamente una responsabilità di Israele nell’esplosione che ha devastato martedì l’ospedale al-Ahli di Gaza City – 471 palestinesi morti secondo il ministero della sanità – sono state accolte con sbigottimento ad Abu Dhabi e Manama. I due paesi perciò hanno chiesto il cessate il fuoco e condannato le politiche israeliane nei confronti dei palestinesi. Posizioni su cui hanno pesato anche l’ondata di indignazione che ha attraversato la regione e le manifestazioni di protesta nella Cisgiordania palestinese occupata e in altri paesi. La «preoccupazione» per i civili palestinesi manifestata da Biden e il segretario di stato Antony Blinken rassicura poco o nulla i leader arabi alleati di Washington di fronte ad immagini da Gaza che mostrano due milioni di palestinesi soggetti al bombardamento continuo dell’aviazione israeliana che ha causato 4.137 morti e circa 13mila feriti, secondo i dati del ministero della sanità.
I racconti di disperazione e paura che i civili di Gaza riescono a inviare all’esterno creano ansia e frustrazione tra gli altri palestinesi e gli arabi e tra coloro che nel resto del mondo seguono la sorte di tante persone innocenti. L’emergenza umanitaria è sempre più acuta, trovare acqua pulita e cibo è una impresa e alcuni ospedali hanno cessato di funzionare. In altri, riferiva ieri Al Jazeera, disinfettano con l’aceto i ferri chirurgici. Manca tutto a cominciare dal gasolio necessario per tenere accesi i generatori autonomi di elettricità. Nelle strade c’è ovunque odore di morte, insopportabile, è il fetore dei cadaveri rimasti sotto le macerie di case e palazzi: sarebbero 1400 secondo le autorità sanitarie. La Mezzaluna Rossa Palestinese ieri denunciava di aver ricevuto la minaccia di Israele di bombardare l’ospedale Al-Quds a Gaza city in cui si trovano più di 400 pazienti e circa 12.000 sfollati. Fino a ieri sera da parte dello Stato ebraico non sono giunte smentite. Israele invece ha ammesso di aver provocato danni gravi al complesso della chiesa ortodossa di San Porfirio, a Gaza city, causando la morte e il ferimento di numerose persone. Il portavoce militare però ha smentito che la chiesa fosse l’obiettivo dell’attacco aereo che, a suo dire, avrebbe preso di mira un vicino «centro di comando di Hamas». La Chiesa Ortodossa ha riferito di 18 morti tra palestinesi cristiani e musulmani che credevano di aver trovato un rifugio sicuro a San Porfirio.
I tanti necessari aiuti umanitari e per gli ospedali, nel frattempo, restano alle porte di Gaza, sul versante egiziano del valico di Rafah. L’ingresso dei primi 20 autocarri era atteso ieri. Potrebbero entrare oggi o domani, così prometteva ieri Joe Biden in persona.
* Fonte/autore: Michele Giorgio, il manifesto
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