Obama strappa l’accordo sul bilancio ma i liberal insorgono: “Troppi tagli”

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NEW YORK – Se volevate il “governo del fare”, eccolo qua. Se l’ideale è un presidente che unisce anziché dividere la nazione, siete serviti. Da leader Barack Obama esce rafforzato dopo l’accordo in extremis sui tagli al deficit pubblico. A pochi minuti dalla mezzanotte tra venerdì e sabato ha evitato che “chiudesse” lo Stato. «A dicembre ho potuto abbassare le tasse delle famiglie americane – annuncia il presidente – perché i due partiti hanno lavorato insieme. Oggi la stessa cooperazione ci consente di realizzare il più grosso taglio di spesa pubblica nella storia». Ancora una volta, come a Natale, il presidente ha fatto il miracolo. Mettendosi nel ruolo dell’arbitro ha sbloccato uno stallo che pareva irreversibile. Ha convinto la maggioranza repubblicana della Camera e la maggioranza democratica del Senato a concordare 39 miliardi di tagli di spesa. E ha scongiurato il peggio: tutto era pronto per lo shutdown, dall’alba di sabato 800.000 dipendenti federali sarebbero rimasti a casa senza stipendio, i parchi nazionali chiusi, fermi gli uffici visti delle ambasciate, niente stipendi per i soldati al fronte, paralisi nei rimborsi del fisco. Tanti disagi e uno spettacolo d’ingovernabilità . È l’incubo che stava per materializzarsi. Evitandolo, Obama veste i panni del salvatore della patria. L’uomo del dialogo, il moderato, il pragmatico: il profilo ideale per riconquistare voti al centro, fra gli indipendenti essenziali per farsi rieleggere nel 2012. Ma sui contenuti, chi ha vinto davvero? Il giorno dopo “l’intesa della mezzanotte” il coro più assordante di lamentele viene da sinistra. Le riassume da Berkeley Robert Reich, celebre economista liberal che fu ministro del Lavoro con Bill Clinton: «Vittoria tattica, sconfitta strategica. La destra ha preso in ostaggio lo Stato, e Obama ha pagato il riscatto. La grande bugia della destra, secondo cui la spesa pubblica ha provocato la recessione, diventa il luogo comune nazionale se i democratici non fanno nulla per smentirlo». Sulla stessa lunghezza d’onda, il New York Times saluta il capolavoro tattico di Obama e al tempo stesso si chiede «dov’è la visione» di questo presidente. Il deputato californiano George Miller avverte che «il peggio deve ancora venire, tra sei mesi nella battaglia sul bilancio pubblico del 2012 la destra vorrà  la fine del Medicare». Alla destra, è vero, la visione strategica non manca: l’ha presentata una settimana fa nel suo maxi-piano per smantellare (con 6.000 miliardi di tagli) quel che resta del Welfare State, tutte le conquiste sociali dal New Deal rooseveltiano alle riforme kennedyane degli anni Sessanta, in particolare la sanità  pubblica per anziani (Medicare) e le pensioni statali (Social Security). Prima ancora della battaglia di settembre sul prossimo bilancio, entro poche settimane si vota per alzare il tetto del debito pubblico, un’altra opportunità  per la destra di strappare nuovi tagli. Obama ha salvato dall’assalto, per ora, l’agenzia per l’ambiente e i consultori femminili (nel mirino degli antiabortisti). Ma ha già  rinunciato a preziosi investimenti in infrastrutture. D’altra parte il presidente ricorda ai suoi che l’abitudine dell’America di «vivere al di sopra dei suoi mezzi» è stata una delle cause dell’ultima crisi. Il deficit al 10% del Pil non è un’invenzione della destra. Dove la destra vince, è quando bisogna scegliere chi farà  i sacrifici: le spese di guerra non si toccano, le tasse ai ricchi restano un tabù.


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