Bertone, plebiscito sul piano del Lingotto

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TORINO – L’87,6 per cento dei dipendenti della ex Bertone dice «sì» all’accordo voluto dalla Fiat. Ma in serata il Lingotto, dopo aver «apprezzato il grande senso di responsabilità  dimostrato dai dipendenti» chiede per far partire l’investimento di «verificare la disponibilità  delle organizzazioni sindacali a far partire l’investimento». Frase ambigua. Se infatti la Fiat chiede che l’accordo venga firmato dai delegati di fabbrica, compresi quelli della Fiom, sa già  che quella firma ci sarà . Perché in questo senso le rsu si erano impegnate nei giorni scorsi. Se invece lega l’investimento alla firma di Maurizio Landini, è certo che quella firma non ci sarà : i metalmeccanici della Cgil non possono firmare un testo contro il quale hanno presentato ricorso in magistratura e che hanno definito inaccettabile sia a Pomigliano che a Mirafiori. Tocca ora alla Fiat sciogliere il nodo nel prossimo incontro con i sindacati. Un braccio di ferro che si sarebbe certamente potuto evitare se, come si è appreso nei giorni scorsi, avesse avuto seguito il faccia a faccia riservato tra Sergio Marchionne, il sindaco di Torino Sergio Chiamparino e il responsabile nazionale auto della Fiom Giorgio Airaudo che si erano visti al Lingotto il 19 febbraio scorso. Uno spiraglio di dialogo che però si era presto chiuso. La giornata del voto è stata caratterizzata da una ridda di polemiche. Con Cisl, Uil e Fismic ad accusare la Cgil di ambiguità  («Hanno preso una batosta», dice Bonanni, «sono scollati dalla loro base», aggiunge per la Uilm, Eros Panicali) e la Fiom ad accusare la Fiat di cercare l’ennesima scusa per non effettuare l’investimento: «Adesso non hanno più alibi», ha detto il segretario torinese Federico Bellono. Polemiche anche dentro la Fiom dove l’ala radicale, capeggiata da Giorgio cremaschi, chiede di sconfessare le rsu della ex Bertone. Le urne di sono chiuse alle 18 dopo due giorni di votazioni. Altissima la percentuale dei votanti: 1011 su 1097, praticamente l’intera forza lavoro. I sì sono stati 886, i no 111. Lunedì, nell’assemblea che ha preceduto l’apertura delle urne, le rsu della Fiom avevano spiegato di non condividere l’accordo ma avevano chiesto ai lavoratori di votare sì «perché dopo sei anni di lotta sarebbe un suicidio farsi ricattare dalla Fiat». Così ora tutte le rsu firmeranno l’accordo e questa mattina i delegati della Fiom annunceranno le dimissioni per coerenza dal loro incarico facendo decadere il consiglio di fabbrica. Sarà  dunque necessario procedere nuovamente all’elezione delle rsu e in quella occasione si vedrà  se dopo questa vicenda sono mutati i rapporti di forza in una fabbrica dove la Cgil ha oggi la maggioranza assoluta dei consensi. Commenti positivi all’esito del referendum dal ministro del lavoro Maurizio Sacconi: «Il programma Fabbrica Italia – ha detto Sacconi – segna un passo avanti che a questo punto nemmeno i percorsi giudiziari possono mettere in discussione». Il riferimento di Sacconi è alle cause giudiziarie che finora in nove casi su dieci hanno dato ragione alla Fiom nella battaglia contro il contratto separato dei metalmeccanici del 2009. Tema che è stato affrontato ieri anche dal direttivo di Federmeccanica che ha chiesto che su tutta la partita della rappresentanza in fabbrica si trovino nuove regole.


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 camusso cgil

Il lavoro da difendere, il lavoro da cercare, il lavoro da stabilizzare, il lavoro per dare futuro e certezza a donne, uomini, giovani e non più giovani. Dovrebbe essere un concetto banale, invece soloproporre il tema come priorità  è obiettivo tutt’altro che scontato. In sostanza possiamo dire che la crisi, la grande crisi del mondo, quella ignorata per tre anni dal governo appena “uscito” e sottovalutata dal duo Francia – Germania in Europa, è crisi figlia dell’aver spostato dal lavoro alla finanza, dall’eguaglianza alla diseguaglianza le finalità  del “mercato”, se è questo: la scelta dovrebbe essere netta ed evidente, riportare al centro il lavoro; il lavoro produttore di ricchezza, non il denaro. All’esploderedella crisi l’invocazione diffusa era riproporre il governo politico economico del mercato, le regole.

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