La Gran Bretagna si ferma E’ l’estate dello scontento

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LONDRA— Persino 70 docenti di Eton hanno aderito allo sciopero. Una pugnalata alla spalle per il premier David Cameron che nel college più esclusivo e famoso d’Inghilterra si è formato e che del suo marchio etoniano, come del resto mezza classe dirigente e mezza aristocrazia londinese, va fierissimo. Chi l’avrebbe pensato che persino oltre le mura di questo leggendario istituto privato superiore, vecchio di quasi cinque secoli e sui cui banchi si sono seduti principi (ultimo Harry), primi ministri, scrittori (George Orwell), poeti (Shelley), proprio in queste aule, i piani di austerità  varati dal governo dei conservatori e dei liberaldemocratici incontrassero una così forte opposizione? Oggi, in coincidenza con l’astensione dal lavoro proclamata da quattro centrali dei sindacati, Eton non chiuderà , però in qualche sezione le lezioni salteranno. Evento quasi storico. Da 25 anni il pubblico impiego non incrociava la braccia.
La tregua è saltata per via dei tagli alla spesa pubblica che ha deciso Downing Street al fine di rimettere ordine ai conti dello Stato. E i primi a respingere la manovra da lacrime e sangue che la coalizione ha impostato sono i dipendenti della scuola e dell’amministrazione pubblica. Dunque, scendono in piazza gli insegnanti ma anche i dipendenti delle dogane, i funzionari e i dirigenti dei ministeri, il personale civile delle carceri, dei tribunali e delle imposte. È un giovedì d’altri tempi per il Regno Unito e per Londra dove le manifestazioni bloccheranno la zona di Westminster con allarme di scontri.
Sole contro tutti le Trade Union hanno rotto la pace sociale. David Cameron le ha accusate di agire contro il Paese: «Lo sciopero è sbagliato per voi e per la gente che servite» . Il sindaco di Londra Boris Johnson, e con lui molti esponenti tory, hanno invocato una nuova legge restrittiva sulle agitazioni che coinvolgono il settore pubblico. Il ministro dell’Educazione Gove ha invitato i genitori a sostituirsi ai professori.
Ma pure i laburisti non sono rimasti in silenzio. È ritornato in pista Tony Blair che in televisione ha invitato i sindacati a cavalcare l’onda della modernità  e non della conservazione, implicitamente accusandoli di ricorrere a metodologie di lotta antiquate. E il nuovo leader Ed Miliband, che grazie al sostegno delle Union è arrivato alla testa del partito, ha invitato a non rompere il tavolo delle trattative. Si sa, l’opinione pubblica britannica non vede di buon occhio gli scioperi e anche se il malcontento è diffuso resta insensibile ai richiami delle mobilitazioni. Eppure non c’è stato niente da fare. Gli insegnanti (600 mila) e i dipendenti dell’amministrazione hanno alzato il tiro. A loro la riforma delle pensioni pubbliche, che è parte importante del piano di austerità , non piace per tre motivi: perché li costringe a lavorare un anno in più (entro il 2020 uscita a 66 anni anziché 65 sia per gli uomini sia per le donne), perché richiede più contributi (il 3,2 per cento dal 2012 ma ciò non vale per i redditi inferiori a 15 mila sterline), perché garantisce rendite più basse. Quindi hanno respinto gli ultimi disperati appelli affinché evitassero di bloccare una parte dell’economia del Paese. Ventiquattro ore che dal college di Eton all’aeroporto di Heathrow rischiano di lasciare il segno. E pare che sia solo un antipasto.
Sul piede di guerra, sempre a causa dei tagli alla spesa e delle pensioni, ci sono i lavoratori della sanità , medici compresi, e dei trasporti. L’estate e l’autunno di David Cameron rischiano di essere roventi. Persino i laburisti non dormono tranquilli: una parte del loro elettorato sciopera nonostante le frenate dei leader.


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