La moglie di Cal: potevamo salvarlo
MILANO — Era tornato al suo paese un mese fa, aveva visitato la cappella di famiglia, nel cimitero di Motta di Livenza, provincia di Treviso, dove ora dovrebbe essere sepolto, vicino ai genitori e tre fratelli. In quei giorni Mario Cal, 72 anni, il braccio destro di don Luigi Verzé che lunedì mattina si è ucciso nel suo ufficio dentro l’ospedale, «era tranquillo e col solito sorriso sul volto» . Claudio Cal è il nipote di Mario (figlio del fratello Angelo), che vive ancora a Motta e nel tardo pomeriggio di ieri, al telefono, riflette: «Proprio perché era coraggioso, un uomo di grande fede, che con la sua forza sosteneva sempre gli altri, non avrebbe mai fatto una cosa del genere. In qualche modo dev’essere stato indotto» .
Più che un riferimento a imprecisate pressioni, è un’ipotesi che riprende l’unico accenno certo alle motivazioni del suicidio, quelle lasciate dallo stesso Mario Cal nel biglietto per la moglie, Tina Besana, scritto prima di uccidersi: «Ancora una volta ho pagato per errori di altri» . In mezzo al dissesto s’era ritrovato solo, il manager del San Raffaele, e con la convinzione di dover sopportare un peso ingiusto. Mario Cal (senza essere accusato di nulla) era stato sentito in Procura una decina di giorni fa sulla crisi finanziaria dell’ospedale.
Magistrati e investigatori stanno cercando di ricostruire le motivazioni del suicidio, un gesto su cui probabilmente Cal meditava da giorni. Al nipote che vive a Milano aveva chiesto se la sua Smith &Wesson calibro 38 potesse uccidere con certezza. Il nipote non ha saputo dare una risposta alla domanda dello zio, ma gli ha accennato alla maggior potenza di una pistola Magnum. E non ha pensato che questo discorso fosse un segnale delle intenzioni dello zio. Nessun presentimento aveva avuto la moglie, Tina Besana, che quando ha saputo della morte del marito ha bisbigliato: «Non avevo mai pensato che potesse fare una cosa del genere, se avessi avuto anche il minimo sospetto non lo avrei mai lasciato solo» . Il vigilantes che per primo ha soccorso Cal, e che da anni lavorava a strettissimo contatto con il manager, ha raccontato che da un paio di settimane era «più spento, taciturno e abbattuto» . E ha accennato a divergenze con don Verzé sulle strategie di «salvataggio» dell’ospedale.
La scelta dei nuovi vertici del gruppo, ormai nelle mani del Vaticano e del suo braccio finanziario, lo Ior, dovrebbe essere quella del concordato preventivo, con un piano da definire per far fronte al miliardo di debiti. Soltanto dopo la messa a punto di questo piano, e nel caso in cui dovesse rivelarsi inefficace o insufficiente, i magistrati potrebbero avanzare un’istanza di fallimento (ipotesi che, al momento, esiste soltanto in linea del tutto teorica). Questa mattina sul corpo di Mario Cal si svolgerà l’autopsia, un altro pezzo dell’inchiesta che cercherà di chiarire anche fino a che punto la sua morte sia intrecciata con la crisi finanziaria dell’ospedale.
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