Iva, pensioni e prelievo di solidarietà  Ma il governo non convince i mercati

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Aumento dell’Iva dal 20 al 21%, contributo «di solidarietà » del 3% sui (pochi) redditi al di sopra dei 500 mila euro (corretti poi a 300 mila) fino al pareggio di bilancio, anticipo dell’innalzamento dell’età  pensionabile anche per le donne lavoratrici nel privato, avvio dell’iter di legge costituzionale per abolire totalmente le Province e per introdurre nell’articolo 81 della Carta la «regola d’oro» sul pareggio di bilancio.
Sarebbe questo l’asso nella manica del governo ripescato in un vertice di maggioranza tenuto ieri a Palazzo Grazioli tra Berlusconi, Tremonti e Calderoli. Doveva essere un annuncio ad effetto ma i teleimbonitori con i mercati finanziari non attaccano. E infatti i tre punti aggiuntivi del maxiemendamento alla manovra bis – che approderà  in Senato solo stamattina, a riempire di senso il vuoto dibattito parlamentare tenutosi ieri su un testo fantasma – non hanno rassicurato affatto agenzie di rating e partner europei, in apprensione per la situazione italiana «estremamente fragile». Spread invariati e a Piazza Affari la peggiore performance del continente. Proprio per questa ieri in serata il ministro La Russa ha annunciato una correzione del tiro facendo scendere a 300 mila euro il tetto minimo dei redditi cui applicare il contributo del 3%.
Confindustria plaude alle soluzioni trovate mentre Confcommercio e Confesercenti si oppongono nettamente preoccupati per le conseguenze dell’aumento del punto percentuale dell’Iva su alcuni settori industriali come quello già  in crisi dell’auto. Il provvedimento, che comunque era già  contemplato in una clausola di salvaguardia della manovra, vale circa 4 miliardi di euro l’anno. Secondo fonti governative, rimarranno inalterate le altre aliquote Iva del 10% e del 4%. «Giù le mani da Iva e pensioni», avvertono Cgil, Cisl e Uil riuniti che chiedono piuttosto una tassa patrimoniale e il contributo di solidarietà  a partire da chi non ha la ritenuta alla fonte. Ed è proprio sul contributo dei redditi più alti che si è evidentemente aperto un braccio di ferro all’interno dell’esecutivo. Dopo la prima decisione comunicata nel pomeriggio da Palazzo Chigi che investiva solo 11.500 contribuenti (lo 0,027% del totale) che dichiarano un reddito di oltre 500.000 euro, è arrivata la correzione del ministro La Russa che ha aggiunto altri 24.500 contribuenti Irpef con redditi tra i 300 mila e i 500 mila, portando così la platea degli interessati a 34 mila (lo 0,08% del totale). Secondo quanto si apprende al momento, la norma interesserà  tutti, compresi i lavoratori pubblici già  tassati del 5% sulla parte eccedente i 90 mila euro lordi di stipendio e del 10% oltre i 150 mila euro. La tassa, che sarà  deducibile, interessa il reddito complessivo (esclusa la prima casa): fondiario, da lavoro dipendente, di impresa, autonomo, da capitale e diversi. Difficile invece calcolare il gettito totale derivante da questo contributo anche se fonti del ministero del Tesoro avevano ieri distribuito i conti riguardanti la prima versione, quella del tetto da 500 mila euro, che sarebbe valsa 35 milioni nel 2012 e 87,7 milioni dal 2013, a regime.
Riguardo le pensioni delle lavoratrici, invece, il maxiemendamento anticipa di due anni (dal 2014 invece che dal 2016) l’adeguamento nel settore privato delle pensioni delle donne, che nel pubblico impiego andranno in pensione a 65 anni già  dal 2012.
Infine, nella nota di Palazzo Chigi, c’è un annuncio nell’annuncio: «Giovedì il Consiglio dei ministri approverà  l’introduzione in Costituzione della “regola d’oro” sul pareggio di bilancio e l’attribuzione alle Regioni delle competenze delle Province». Con la modifica dell’articolo 81 della Carta, caldeggiata anche dal Pd, si vuole rassicurare la Bce e gli altri membri dell’Unione riguardo il rispetto degli accordi presi in sede europea. L’abolizione delle province invece passa per la riforma dell’articolo 114 e, se dovesse superare il complesso iter parlamentare, farebbe carta straccia della norma appena inserita nella manovra che prevede il dimezzamento delle rappresentanze politiche delle province a partire dal prossimo rinnovo elettorale.


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