Crimini di sistema e morti del lavoro: un controllo dal basso contro lo «stato di guerra»

Crimini di sistema e morti del lavoro: un controllo dal basso contro lo «stato di guerra»

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Se tutto questo è inaccettabile, e se la strage è quotidiana, e infinita, un altro modo per non restare a guardare dovrà pur esistere. Un tempo si chiamava contropotere

 

Ancora prima che un’improvvisa illuminazione apra le menti di questo governo, ci sarà un modo per arrestare dal basso, con i lavoratori, il sistema del lavoro fondato su appalti, subappalti a cascata e precarietà che ha ucciso 191 persone fino ad oggi e ha provocato le tre stragi di Casteldaccia a Palermo (5 morti), Esselunga a Firenze (5 morti), Suviana nel Bolognese (7 morti).

Non abbiamo molti elementi per credere che lo si possa fare con quello strumento aberrante, sul piano etico e anche su quello dell’economia comportamentale, che considera i morti sul lavoro come «crediti» su una patente.

Uno strumento che valuta la vita in termini di punteggio dopo che un incidente si è verificato. Stiamo parlando della misura simbolo della «patente a crediti» che il governo Meloni intende istituire tra cinque mesi, cioè dal prossimo primo ottobre. La misura è contenuta nel «pacchetto sicurezza» dei decreti Pnrr e Coesione. In queste ore si attende l’emanazione di un decreto attuativo. La ministra del lavoro Marina Calderone ha promesso che arriverà in tempi «strettissimi».

Che arrivi prima di subito, o dopo, uno strano senso della predestinazione continuerà a impadronirsi di noi. Il sistema mieterà altre vittime. Speriamo vivamente di no. Ma la speranza, in questo capitalismo, è vana.

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Ieri, dopo l’ultima tragedia nel palermitano, i sindacati dei lavoratori delle costruzioni hanno posto un’alternativa radicale: «O cambiano le cose, oppure proseguiremo la mobilitazione ad oltranza». Per forza di cose, con tre morti in media al giorno, questa mobilitazione c’è già. Come anche gli scioperi.

Si potrebbe rilanciare.

Perché non strutturare la mobilitazione e pensare anche a gruppi di autodifesa operaia? A turno, e secondo le disponibilità, insieme ai sindacati, potrebbero iniziare a fare contro-informazione, tenere i contatti con una forza lavoro dispersa sul territorio, nell’impresa diffusa, e invisibile dei subappalti. Sensibilizzare l’opinione pubblica. Potrebbero intervenire sui fronti di questa «guerra»: nei cantieri, per strada, nei tombini, in cielo tra le gru, a mezz’aria sulle impalcature, sottoterra nelle fogne.

Se funzionasse, ciò permetterebbe di trovare uno strumento di pressione in più a sostegno dell’instancabile richiesta dei sindacati di incontrare un governo impreparato – ma quale non lo è – e ottenere qualcosa in più di un altro tavolo tecnico dove l’esecutivo espone decisioni già prese.

Lo sappiamo: i rapporti di forza sono sfavorevoli, la legislazione è precaria, la formazione non basta, le norme che esistono non sono applicate, l’ispettorato del lavoro fatica. Tutto sembra dovere andare come va, mandando al macello chi lavora per vivere.

Ma se tutto questo è inaccettabile, e se la strage è quotidiana, e infinita, un altro modo per non restare a guardare dovrà pur esistere. Un tempo si chiamava contropotere.

* Fonte/autore: Roberto Ciccarelli, il manifesto



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