Unicredit, i soci congelano l’aumento

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MILANO – Unicredit rimanda a novembre la decisione se fare o meno il terzo aumento di capitale in tre anni. Con le voci di default della Grecia e una settimana prima dell’intervento della Fed per rilanciare Wall Street e l’economia Usa, non era il caso di fare blitz a sorpresa. Tuttavia l’incontro di due ore tra i vertici di Piazza Cordusio e le maggiori Fondazioni azioniste ha fatto emergere quanto difficile sia lo scenario per la banca italiana più internazionale, e quindi ne è uscito rafforzato il partito di quanti ritengono la ricapitalizzazione – che il mercato stima tra 6 e 8 miliardi di euro – una dolorosa esigenza. Intanto, in una seduta di Borsa per suicidi, il titolo ha perso un altro 8,22% a 0,77 euro, vicino ai minimi storici di inizio 2009. Secondo indiscrezioni, gli astanti si sono ridati appuntamento a novembre, quando sarà  più chiaro anche il livello regolatorio di Core tier 1 imposto alle istituzioni sistemiche (che dovrebbe essere sul 10%). Unicredit oggi ha un patrimonio primario al 9,12%, livello che l’ad Federico Ghizzoni giorni fa ha definito «sufficiente». Ma che tra due mesi potrebbe non esserlo più, specie se la congiuntura borsistica ed economica europea continua a erodere i margini degli operatori finanziari.
L’incontro, in agenda da tempo, avviene in un momento molto delicato per la vita dell’istituto. Con gli investitori in fuga dalle banche europee, che hanno mangiato quasi due terzi del valore Unicredit nel 2011, quasi metà  da luglio. L’esame della situazione dei mercati è stato di premessa per affrontare le prossime incombenze per il management: il ritorno del piano strategico, che Federico Ghizzoni ha promesso ed è atteso tra novembre e dicembre; eventuale ricapitalizzazione, che nel caso sarebbe inserita nel piano di medio termine; contabilità  del terzo trimestre (che sarà  impegnativo, tra i ribassi dei listini e gli aumenti del costo del funding); scadenza del cda la prossima primavera.
Nelle sede dell’istituto tra mezzogiorno e le 14,30, il presidente Dieter Rampl e l’amministratore delegato Federico Ghizzoni hanno parlato con i presidenti delle maggiori Fondazioni azioniste: Paolo Biasi (Cariverona), Andrea Comba (Caritorino), Gianni Borghi (Manodori), Dino De Poli (Cassamarca), Massimo Paniccia (Caritrieste). I pesi massimi di Verona e Torino, secondo quanto si apprende, avrebbero già  sondato, fin da prima delle vacanze, i numeri di un’eventuale ricapitalizzazione. Non sembra un problema la loro partecipazione, mentre è molto più incerto che sottoscrivano il terzo aumento gli enti minori, come pure i soci libici, anche se giovedì hanno detto, per bocca di un portavoce del governo dei ribelli a Tripoli, che non venderanno il 7,5% nella banca. L’ipotesi, non troppo remota, di un aumento avrebbe l’effetto più che probabile di rivoluzionare i pesi azionari. Questo getta incognite anche sul rinnovo del board, in scadenza a primavera, perché il peso dei soci italiani potrebbe diminuire, a vantaggio di quello di investitori istituzionali internazionali, sul tipo di Norges Bank (2,07%). Saranno loro a contare di più nel board della futura Unicredit, che tocchi fare un nuovo aumento o no.


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