La svolta sofferta del premier Ora apre al nuovo governo

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ROMA — Aveva iniziato la giornata, poco dopo le otto del mattino, difendendo convinzioni in apparenza granitiche, esternate in collegamento tv con Canale 5: nessuna maggioranza diversa da quella attuale, alleanza con la Lega più che solida, elezioni anticipate all’orizzonte, Alfano candidato in pectore del Pdl.
Ma con il passare delle ore, con il crollo ulteriore del valore dei nostri titoli di Stato, con mezzo partito e mezzo governo contrari al voto anticipato, con il rischio di una balcanizzazione del centrodestra sia alla Camera che al Senato, alla fine Silvio Berlusconi ha aperto all’ipotesi di un governo di emergenza, diretto da una figura di spicco come Mario Monti, sostenuto da una maggioranza diversa da quella attuale, esecutivo che potrebbe persino spingere la Lega all’opposizione e mandare in soffitta la lunga stagione dell’alleanza con Umberto Bossi.
Chi lo ha visto ieri, e sono stati in tanti, descrive il Cavaliere rassegnato, spiazzato, in balia delle tante schegge in cui si sta frantumando il Pdl. A chi gli ha chiesto con insistenza di mantenere il punto, e sono stati in tanti, soprattutto fra gli ex An, il capo del governo ha allargato le braccia: «Non posso fare più di tanto, i margini di manovra politica sono molto stretti», è stata la risposta che ha deluso tanti.
La pressione del Colle, come di Gianni Letta, che alla fine potrebbe fare il vicepremier, sono dirette a far accettare quello che a tanti nell’esecutivo, da Fitto a Frattini, appare come necessario e improcrastinabile: cercare di evitare le elezioni e provare a formare un esecutivo che attui a tamburo battente le riforme economiche.
Ad un certo punto della mattina la situazione era talmente drammatica che il capo del governo ha offerto le dimissioni immediate a Giorgio Napolitano; un gesto, una disponibilità , «nell’interesse del Paese», che però non ha avuto conseguenze: se c’era da scontare qualcosa i mercati l’hanno già  fatto e del resto la legge di stabilità  dovrebbe essere approvata prima di domenica, giorno in cui Berlusconi dovrebbe rimettere l’incarico.
Alla fine di una giornata in cui Palazzo Grazioli ospita una mezza dozzina di vertici, accoglie deputati e senatori, ospita consultazioni con esponenti minori e praticamente con quasi tutti i membri del governo, nello staff del presidente del Consiglio resta la sensazione di un premier sottoposto ad una pressione troppo forte — politica, umana, istituzionale, finanziaria (anche le sue aziende sono crollate in Borsa) — per potersi ancora permettere di sostenere le ragioni di un ritorno immediato alle urne.
Ieri sera Angelino Alfano, a Porta a Porta, confermava con diplomazia, e cautela, le aperture di Berlusconi ad un’ipotesi Monti, rimarcando che il Cavaliere «ha apprezzato e valutato positivamente il comunicato del presidente della Repubblica sui tempi della crisi» e ricordando che «proprio Berlusconi è stato il presidente del Consiglio che ha nominato Monti alla Ue ed ha controfirmato oggi la sua nomina a senatore a vita».
Ovviamente Berlusconi è consapevole che una decisione, anche sui tempi di durata del nuovo esecutivo, andrà  presa anche nell’interesse del suo partito: è facile prevedere che al momento dell’apertura delle consultazioni saranno riuniti gli organi del Pdl e verrà  adottata una posizione ufficiale del Pdl. Sarà  fatto di tutto per evitare spaccature interne, compito che ieri sembrava molto difficile, ma sul quale Alfano e Berlusconi avranno ancora almeno tre giorni per lavorare.
Ieri sera molti ministri, dalla Gelmini a Romani, da Matteoli a Brunetta a La Russa, erano ancora allineati sulla posizione del voto anticipato e avanzavano più di un dubbio sulla delega da fornire a un governo a caratura politica «minore». Se il Cavaliere dovesse dire di sì a un esecutivo di emergenza sicuramente nel Pdl ci saranno forti contraccolpi.


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