Il prelievo e la lotta a chi evade

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Alzare di due o tre punti le ultime aliquote Irpef, quella del 41% (redditi da 55.000 a 75.000 euro) e quella del 43% (oltre i 75.000 euro), assomiglia tanto a un déjà -vu. E’ sicuramente prematuro esprimere un giudizio definitivo perché non si conosce il menu completo degli interventi. E, magari, quella che a prima vista sembra una nuova stangata, si inserirà  in un quadro armonico basato davvero sull’equità , sul rigore e sulla crescita. L’ultima volta che le aliquote Irpef furono toccate fu nel 2007 dal governo Prodi e anche allora, come oggi, si infierì, tra grandi proteste, sul ceto medio. Non è ricco chi guadagna più di 55.000 euro l’anno (lordi, ovviamente). Come non è ricco chi ne guadagna 100.000. Non è così che si chiama a contribuire chi, finora, ha dato di meno. Alzare le aliquote Irpef in un paese in cui il carico fiscale grava, prevalentemente, su dipendenti e pensionati, non fa altro che mantenere l’ingiustizia del sistema. Si toglie sempre ai finti ricchi (gli onesti). E si continuano a risparmiare i finti poveri. Sono pochi gli italiani che dichiarano più di 55.000 mila euro. Su 40 milioni di contribuenti che hanno presentato la dichiarazione, solo 1,5 milioni ricadono in questa fascia. E di questi oltre 1.300.000 vivono di stipendio fisso come dipendenti e pensionati. Aumentare le aliquote più alte vuol dire colpire ancora una volta chi lavora e chi produce. E non, certamente, chi evade. E’ vero arriveranno, forse, anche la tassa sul lusso, la patrimoniale leggera, l’Ici progressiva (ma in base al reddito, il che sarebbe l’ennesima ingiustizia, o alle case possedute?). Misure che forse renderanno più equa la terza manovra anti-deficit del 2011. La crisi morde, è vero. Ma non è una ragione per suonare sempre la stessa canzone.


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