Clegg furioso con Cameron il no alla Ue fa tremare il governo

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LONDRA – Conservatori e liberal-democratici si ritrovano separati in casa, come una coppia che non sa più se restare insieme o divorziare: ovvero se continuare a formare un governo di coalizione o andare alle elezioni anticipate. È il primo risultato interno del “no” di David Cameron al resto dell’Unione Europea sull’accordo per salvare l’euro. Nick Clegg, leader lib-dem e vicepremier, sarebbe «furioso» per il comportamento del primo ministro al vertice di Bruxelles. «Siamo finiti in un brutto posto, quasi fuori dall’Europa», gli fa eco Vince Cable, importante dirigente liberaldemocratico oltre che ministro per le Attività  Produttive. E pure un illustre conservatore, il ministro della Giustizia Ken Clarke, uno dei pochi eurofili tra i Tories, definisce «deludente» la scelta di Cameron.
Affiorano dunque le prime crepe nel governo di centro-destra britannico, anche se è presto per dire se finiranno per farlo crollare. Il premier può tuttavia vantare, a parte l’accoglienza da eroe riservatagli dalla maggior parte del suo partito, un apparentemente ampio consenso tra l’opinione pubblica. Il primo sondaggio sull’Europa “a due velocità ” (da un lato il Regno Unito, dall’altro 26 paesi) creata da Cameron appoggia la sua decisione: il 62 per cento è a favore e il 66 per cento vorrebbe addirittura un referendum sulla partecipazione della Gran Bretagna all’Unione Europea. Sebbene soltanto il 48 per cento ritenga che sia il caso di uscire dalla Ue. E il sondaggio sia pubblicato dal Daily Mail, uno dei tabloid più anti-europei.
Di certo c’è che il paese è diviso all’incirca a metà  sulla questione dell’Europa. Per tradizione e programmi, incluso quello presentato alle elezioni di un anno e mezzo fa, i lib-dem appartengono alla metà  europeista, e dunque la loro reazione negativa a quanto avvenuto non deve sorprendere. Varie fonti riferiscono che il loro leader Clegg, buttato giù dal letto alle 4 del mattino di venerdì dalla telefonata che annunciava il veto di Cameron all’accordo salva-euro, «non poteva crederci». Avrebbe più tardi confidato ai suoi collaboratori: «Non credo che questa sia una buona decisione per i nostri posti di lavoro, nella City o altrove. Ho fatto presente al primo ministro che sarebbe stato impossibile per me dare il benvenuto a questa sua mossa».
Tornando ieri sull’argomento con un’intervista alla Bbc, Clegg ha solo leggermente moderato i toni. «Una Gran Bretagna fuori dall’Europa sarebbe considerata irrilevante da Washington e un pigmeo dal resto del mondo. Combatterò con le unghie e con i denti per evitare che il nostro paese esca dall’Unione Europea». Ha aggiunto che non è il caso di indire referendum sui rapporti con la Ue, «al contrario, Londra deve riannodare i suoi legami con l’Europa, e sarebbe ancora più dannoso per noi se la coalizione di governo venisse meno, sarebbe un disastro economico per il Regno Unito in un momento di grave incertezza». Ma non è chiaro se il resto del suo partito la pensa così. Già  costretti a rimangiarsi le proprie posizioni sull’aumento delle tasse universitarie, molti lib-dem sentono di avere rinunciato completamente alla propria identità  per stare nel governo. E dalle file dell’opposizione il leader laburista Ed Miliband li incoraggia a scatenare una crisi politica: magari per allearsi con il Labour in una futura coalizione dopo nuove elezioni.


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