Da Brasov a Ponticelli non si ferma la scia di violenza

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PARIGI. Anche se, al meglio, nessuno se ne è accorto, o, al peggio, sembra che stia succedendo esattamente il contrario di quanto dichiarato, l’Unione europea è nel pieno del suo “Decennio di inclusione dei Rom”, un’iniziativa avviata nel 2005 che si concluderà  nel 2015. Entro fine anno è attesa la valutazione della Commissione sulle politiche di integrazione dei Rom nei paesi membri. L’associazione europea dei diritti umani, che riunisce le omonime leghe dei paesi membri, denuncia «la passività  della Commissione e del Consiglio di fronte alle violenze in un certo numero di paesi».
In effetti, la situazione dei Rom in Europa non fa che peggiorare. I fatti di Torino sono solo gli ultimi di una lunga serie. In questi giorni, sono in corso espulsioni e distruzioni di campi a Marsiglia. In Ungheria, nel marzo 2010, c’erano state gravi violenze a Gyà¶ngà¶spata organizzate dal partito di estrema destra Jobbik, nel 2009 fatti analoghi avevano avuto luogo a Vitkov in Repubblica Ceca. A Brasov, in Romania, nel 2008 è stato costruito un muro per separare i Rom dagli altri cittadini. Violenze gravi hanno avuto luogo negli ultimi anni in Spagna, Italia (Ponticelli nel 2008), Ungheria, Bulgaria, Romania, Gran Bretagna, Danimarca, Lettonia. Nell’estate del 2010 la Francia ha smantellato centinaia di campi considerati illegali e da allora ha rinviato nei paesi d’origine – soprattutto Romania e Bulgaria – migliaia di Rom. Anche il prossimo 28° membro della Ue, la Croazia, è nella lista delle violenze ai Rom. Di recente, il Comitato per i diritti umani dell’Onu ha condannato la Grecia per aver violato i diritti civili e politici di questa popolazione. La Corte europea dei diritti umani ha da poco condannato la Slovacchia per la sterilizzazione di una donna Rom eseguita senza il suo consenso. Un anno fa, era stata la volta della Francia, accusata da Bruxelles di espulsioni abusive, che avevano fatto seguito al “discorso di Grenoble” di Nicolas Sarkozy sulla sicurezza e l’ordine pubblico, che ha segnato la svolta a destra del presidente che già  pensava alla sua rielezione nel 2012 e puntava ai voti del Fronte nazionale. Ne era seguito un braccio di ferro tra Parigi e la commissaria Viviane Reding, che aveva evocato le deportazioni della seconda guerra mondiale e poi era stata costretta a ritirare queste accuse. La Francia era così riuscita a sfuggire a una procedura di infrazione per applicazione insufficiente della direttiva europea sulla libera circolazione delle popolazioni del 2004. Ma la caccia ai Rom è proseguita.
In Europa vivono 10-12 milioni di Rom. Ci sono gli extra-comunitari, che vengono espulsi senza sollevare reazioni verso i paesi d’origine pericolosi, come per esempio il Kosovo. Invece dal 2007 anche i cittadini rumeni e bulgari, patria di origine della maggioranza dei Rom europei, godono della libera circolazione, anche se per lavorare devono ottenere un permesso. Ma le espulsioni hanno luogo anche verso questi paesi. Dei poliziotti rumeni, per esempio, sono in questo periodo a Parigi, per collaborare con i francesi. I decreti anti-mendicità  – a Parigi sui Champs-Elysées, nel quartiere del Louvre o in quello dei grandi magazzini di lusso – sono stati varati con l’obiettivo di colpire i Rom.
Il termine Rom è stato scelto da alcuni intellettuali della “Unione romani” all’inizio degli anni ’70. Dopo la caduta del muro di Berlino nell’89, spiega la storica Henriette Asséo, «le istituzioni europee hanno forgiato una specie di nonlingua attorno ai Rom». Si parla di «minoranza transnazionale», diventata «mito politico: quello di un nomadismo tsigano senza frontiere. Tuttavia, dal XVI secolo l’80% degli Tsigani non si sono mai mossi».
In Europa, già  tra il 1910 e il 1930, in vari paesi erano state adottate delle politiche repressive simili contro i Rom. In Francia, con le leggi del 1912 viene istituito il libretto antropometrico per popolazioni nomadi. Nel ’33 tutte le grandi città  tedesche aprono dei campi di internamento (Zigeunerlager) e, dal ’36 Himmler mette in opera una radicale politica anti-zingari, che culminerà  con il decreto del 16 dicembre ’42 e la deportazione a Auschwitz-Birkenau (dove il dottor Mengele farà  i suoi esperimenti). Le schedature, già  generalizzate negli anni ’30, favoriscono la deportazione nell’Europa occupata. In Francia, la residenza coatta era già  stata applicata un mese prima dell’invasione tedesca del maggio ’40. I “nomadi” francesi restano internati amministrativi fino al ’46 e solo nel ’69 il libretto antropometrico del ’12 viene sostituito con un libretto di circolazione, che è una carta di identità  di serie B, con un diritto di voto ristretto.


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