La suora italiana in Nigeria: vogliono distruggerci

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Ventidue anni fa è arrivata a Kaduna, città  nigeriana lungo la linea che divide il Nord a prevalenza musulmano dal Sud cristiano, e non se n’è più andata. Ha fondato una grande scuola che ospita sui suoi banchi (e a tavola) 800 bambini, «di tante etnie e religioni», racconta al Corriere. E non intende lasciarli nemmeno ora. Nonostante i suoi 78 anni e il fuggi fuggi di cristiani in corso dal Nord del Paese, quattro giorni dopo la scadenza dell’ultimatum lanciato dagli integralisti islamici della setta Boko Haram («Andate via o sarete uccisi») e dopo i ripetuti attacchi che da giovedì hanno fatto in chiese e case una quarantina di morti (almeno 13 solo ieri e 17 venerdì alla veglia funebre di 5 fedeli uccisi il giorno prima). I suoi pensieri sono concentrati sull’incerta riapertura delle classi dopo la pausa natalizia: prevista per lunedì e rinviata a data da destinarsi per via dello sciopero generale contro il raddoppio del prezzo del carburante, in seguito ai tagli dei sussidi annunciati dal governo. E questo nonostante la Nigeria «galleggi» sul petrolio. «Con questi aumenti solo pochissimi privilegiati possono muoversi, la gente non può sopravvivere così. C’è troppa ingiustizia e corruzione. I fanatici trovano terreno fertile con tutti questi poveri. Anche i musulmani chiedono la pace. Però ci sono i tradizionalisti, gli estremisti. Vengono soprattutto dall’Arabia Saudita e danno soldi. Vogliono distruggere i cristiani, vogliono che prevalga la sharia», lamenta con un leggero accento pugliese (è di Brindisi). «Ma non si può dividere il Paese». Anche a Kaduna, città  separata tra Nord a prevalenza musulmano e Sud cristiano, «in realtà  si vive mescolati» dice.
Una Corte nazionale ieri ha vietato ogni protesta e autorizzato la polizia a disperdere i cortei. E il pensiero di suor Semira corre a quell’altro grande sciopero indetto dopo l’introduzione della sharia nello stato di Kaduna, dieci anni fa. «I cristiani si mobilitarono, i musulmani li attaccarono e iniziò la guerra civile», rievoca la religiosa. «Subimmo due incursioni, a febbraio e in aprile del 2002. Non potemmo uscire dall’edificio per 4 giorni per via del coprifuoco. I bambini erano terrorizzati, pregavano ognuno nella propria lingua. Avevamo anche finito i viveri». Il timore che qualcosa di simile possa ripetersi è forte. 
«In questi giorni sto ricevendo via sms messaggi di allerta del tipo: “Fate scorte di carne e riso, non sappiamo cosa succederà  con questo sciopero”. Si vive con la tensione, continuo a ripetere ai fedeli che noi cristiani dobbiamo cercare di calmarci per ragionare meglio». 
Difficile disinnescare la spirale di ritorsioni e rappresaglie, allora come oggi. «Dieci anni fa da una fessura al primo piano guardavamo impotenti cristiani e musulmani che si ammazzavano». E oggi il compito — arduo — di smorzare la voglia di rivincita tra i cristiani è affidata alle altre 23 sorelle indigene del convento-scuola. Ieri i leader cristiani locali hanno denunciato la «pulizia etnica e religiosa sistematica» in corso e annunciato che reagiranno: «Non possiamo restare seduti a guardare» hanno detto. 
Nonostante la tensione, la vita di suor Semira, per ora, non è cambiata: «Esco quasi quotidianamente, un giorno c’è il mercato dei pomodori, un altro quello delle patate… Non ho paura, non l’ho avuta neanche con la pistola alla tempia perché sapevo che il Signore era con me», racconta. E il ricordo ritorna ancora a quel maledetto 2002 quando il convento-scuola fu assalito anche da una banda di ladri: «Dopo le preghiere della sera, entrarono in una trentina, presero me in ostaggio per due ore, con la pistola puntata alla testa mentre altri saccheggiavano tutto, distruggendo vetri, porte, finestre». 
Nonostante i ripetuti choc, «sono legata a questo Paese come se fosse il mio», dice. Al suo fianco c’è suor Concepita, 63 anni. Insieme sono tra le rare presenze religiose italiane in Nigeria («le uniche», riferiscono dall’ambasciata italiana e dalla Società  Missioni Africane). 
Tanti i progetti all’orizzonte: «Vogliamo avviare una scuola media, stiamo costruendo un grande gazebo con bottiglie di plastica guidati da un ricercatore tedesco che sta facendo con noi il primo esperimento in Africa: i giovani potranno imparare a costruire case con i rifiuti». La nuova Nigeria parte anche da qui.


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