TUTTO COME PRIMA? EPPURE BASTA POCO

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Ma nel febbraio 1992, quando tutto cominciò, ci si poteva aspettare che qualcosa sarebbe cambiato in meglio. Invece nel febbraio 2012, vent’anni dopo, il presidente della Corte dei Conti ci ricorda che «illegalità , corruzione e malaffare sono fenomeni ancora notevolmente presenti nel Paese e di dimensioni, presumibilmente, di gran lunga superiori a quelle che vengono, spesso faticosamente, alla luce». 
Non è solo una «questione morale» ma anche, e forse in primo luogo, economica. Una stima esagerata, avverte la Procura generale della magistratura contabile, indica che la corruzione vale 60 miliardi di euro all’anno; se pure quella cifra si riducesse a un decimo ci sarebbe comunque una gigantesca sproporzione rispetto alle condanne inflitte per soli 75 milioni nel 2011. Tangentopoli, insomma, è sopravvissuta a Mani Pulite e gode di ottima salute.
La coincidenza ha voluto che queste grida d’allarme arrivassero lo stesso giorno in cui il ministro della Giustizia ha chiesto altro tempo per elaborare i pareri del governo sul disegno di legge anticorruzione all’esame del Parlamento. Sicuramente ne avrà  bisogno, ma è appena il caso di ricordare che quella proposta di riforma è stata presentata, da un altro governo, nel maggio 2010. Quasi due anni fa. Se ne dibatte ancora in commissione alla Camera e se (com’è auspicabile) ci saranno modifiche, bisognerà  tornare al Senato. Di tempo a disposizione, prima della fine della legislatura, non ne rimane molto. 
Eppure il ventennale dell’arresto di Mario Chiesa, che non era un «mariuolo» bensì la punta di un iceberg venuto a galla solo in minima parte, può essere ancora un’occasione. Soprattutto per i partiti rappresentati in Parlamento. Potrebbero decidere di dare un segnale: da un lato sollecitando e affiancando il governo nel suggerire migliorie al testo in discussione, e dall’altro dando esecuzione alla Convenzione penale del Consiglio d’Europa sulla corruzione del 1999, come previsto dai disegni di legge presentati dai radicali nel 2008 e più tardi da Antonio Di Pietro. Aver sottoscritto e mai ratificato quel documento è solo un’ammissione di debolezza di fronte all’Unione Europea, che dall’Italia aspetta gesti ben diversi.
Ma forse qualche poco commendevole ragione di questa mancanza c’è. La Convenzione prevede impegni precisi, che magari s’immagina di far fatica a mantenere. Per esempio l’introduzione del reato di corruzione privata, che faciliterebbe molte indagini ma metterebbe in difficoltà  i manager infedeli che sottraggono soldi alle loro società . E adempiere alle richieste europee di allungare i tempi di prescrizione, per renderli compatibili con inchieste giudiziarie complesse che spesso cominciano solo molto tempo dopo la commissione dei presunti reati, non è evidentemente cosa semplice: il ministro della Giustizia ha dovuto ingiungere al collega della Funzione pubblica di eliminare quel capitolo dal lavoro dell’apposita commissione istituita per suggerire proposte, probabilmente perché temeva che la maggioranza di centro-destra-sinistra a sostegno del governo «tecnico» non avrebbe retto l’impatto.
Ecco perché toccherebbe ai partiti farsi carico di muovere qualcosa. Se Mani Pulite, con il consenso popolare che suscitò nella prima fase, fu un’occasione persa per rinnovare davvero il sistema politico liberandolo dalle catene della corruzione, oggi potrebbero almeno provare a recuperare un po’ della fiducia nei confronti della classe politica che giusto vent’anni fa cominciò a precipitare. Altrimenti resterà  solo la malinconia di un anniversario fatto di recriminazioni e rimpianti.


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