«Io senegalese dico: è il razzismo il male più grande»

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Del nazismo non sa nulla. Del fascismo neppure. Però sa che tre mesi fa, a Firenze, suo marito, Modou Samb, è stato ammazzato, come un cane, tra i banchi del mercato, da un uomo che, infarcito di idee per lei incomprensibili, era uscito di casa armato per fare strage dei senegalesi. «Sia fatta la volontà  di Dio ma no che non lo perdono… Il razzismo?», abbassa lo sguardo Ndeye Rokhaya Mbengue, 35 anni: «È una grande cattiveria umana». E mentre parla di cose impossibili a dirsi capisci che l’innocenza della vittima, di tutte le vittime, ha il suo volto d’ebano, avvolto da un chador giallo come il sole, le sue frasi spezzate, i suoi occhi, il suo atteggiamento composto, anche nel lutto, che in Senegal è molto rigido e non finirà  prima di aprile. No, nessuna autorità  dello Stato l’ha chiamata. L’ha ricevuta il presidente della Regione Toscana e l’hanno invitata a Roma, ieri, Unar e Arci per consegnarle una borsa di studio per sua figlia, tredici ancora da compiere.«In Italia, avrei voluto venire invitata da mio marito», racconta come una giovane sposa Ndeye, vedova partita dal Senegal, con il suo carico di dolore, a interrogare il cuore del vecchio continente. E quando sente che in Francia un uomo ha fatto strage di bambini davanti a una scuola ebraica, abbassa di nuovo lo sguardo e ripete: «Lo so che ci sono persone cattive, ma non credo che siano loro l’Europa, l’Italia». Non era mai venuta in Italia? Che impressione le fa esser qui?
«È molto doloroso, avrei voluto fare un altro tipo di viaggio in Italia, avrei voluto venire qui invitata da mio marito. Quando ho saputo che era stato ammazzato, non ci volevo credere, io so che gli italiani non sono come l’uomo che l’ha ucciso». Cosa sa di lui?
«È difficile per me dire qualcosa su questa persona, farmi una idea di quello che è accaduto».
E del razzismo?
«È una grande cattiveria umana prendersela con un’altra persona perché è diversa da te»â€¨È troppo doloroso pensarci? «Molto, da quando è successo non riesco più a mangiare. Ma nonostante tutto penso: sia fatta la volontà  di Dio. Vivo il mio dolore e cerco di non pensare a chi lo ha provocato».
Come ha saputo cosa era successo? «Cheikh Douf, l’amico più caro di mio marito, che viveva a Firenze come lui, quel giorno mi ha chiamato diverse volte, ma non ha avuto il coraggio di dirmi cosa era successo. L’avevo sentito alla tv, ma non sapevo che fosse mio marito. Poi un amico di famiglia ha capito e ci ha chiamato per avvertirci».
Senza lui, come vivete lei e sua figlia?
«Siamo in grande difficoltà , ai bisogni miei e di mia figlia ci pensava lui».
Le mandava spesso soldi?
«Sì, a volte cento euro, a volte meno se le cose non andavano bene. Ci sentivamo tutti i giorni».
E cosa le diceva dell’Italia?
«Lui diceva che si trovava bene, che era tranquillo. Non aveva preoccupazione. Aamil ben problem. Non c’è nessun problema, ripeteva».
Quando vi siete vistà® l’ultima volta? «Dodici anni fa, quando è partito dal Senegal. Nostra figlia aveva appena tre mesi».
Lei ha mai pensato a venire in Italia? «No, quando c’era mio marito no. Comincio a pensarci ora, perché non so come fare a campare. E come dare un futuro a mia figlia». Le autorità  italiane l’hanno contattata? Qualcuno le ha offerto aiuto? «No. Qualche tempo fa a Dakar è venuto un prete di Pistoia a portarci soldi e solidarietà ».
Che futuro vorrebbe per sua figlia? «Vorrei le cose che vogliono tutte le persone normali: che studi, che abbia poi un lavoro, una vita normale, un futuro».
In Italia?
«Sarebbe bello».
Tanti dal Senegal pensano di venire in Italia?
«Sì, ci rendiamo conto che l’Italia sta vivendo un momento di crisi, però meglio qui che laggiù».
Cosa è venuta a dire all’Italia? «Chiedo all’Italia per me e mia figlia l’aiuto, che mio marito non può darmi più».


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