Passera: basta furbetti delle tasse «Disagio sociale per sei milioni»

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CERNOBBIO — Il messaggio è positivo. «L’Italia può crescere e, paradossalmente, più di altri come dimostrano i buoni dati sull’export». Il ministro dello Sviluppo economico avverte: nel lavoro, se si tiene conto di tutto, tra disoccupati e persone a rischio, si può stimare un’area di disagio di 5-6 milioni di persone. Ma Corrado Passera corregge il tiro rispetto a uno scenario recessivo disegnato pochi giorni fa a Taormina. Ma non per questo dimentica di tornare sul «disagio sociale» al centro della cronaca per i casi di suicidio da difficoltà  economiche. Il clima sociale del Paese «non può non preoccuparci», ha spiegato Passera che ha calcolato in 5-6 milioni circa l’area complessiva del disagio, includendo in questa parola i disoccupati, i cassintegrati, i sottoccupati e i loro familiari. «Una quota enorme». L’accostamento con la necessità  di una maggior equità  nella distribuzione dei redditi è quasi automatico e il ministro sottolinea l’importanza della «sanzione sociale» contro l’evasione fiscale che ritiene una «situazione da aggiustare». «Il tema del disagio occupazionale va oltre le dimensioni statistiche — ha detto —. Non bisogna guardare solo ai disoccupati, circa 2-2,2 milioni, ma a tutta l’area del disagio occupazionale, mettendoci dentro gli inoccupati, i sospesi come i cassintegrati, i sottoccupati. Se mettiamo insieme tutte queste componenti — ha concluso — arriviamo a 5-6 milioni di persone, che rappresentano una quota enorme, insieme ai loro famigliari, della società  italiana. Questa è la vera misura del problema. L’occupazione vera si fa con una crescita sostenuta e sostenibile».
«Non può più essere considerata furbizia non pagare le tasse — ha spiegato il ministro durante una pausa del tradizionale workshop Ambrosetti di primavera — non può essere considerato accettabile che chi ha uno stile di vita di buon livello non abbia poi una sua quota di partecipazione agli oneri pubblici». E poi le bollette che con l’ultimo aumento di quasi il 5% ci portano lontano anni luce dalla media europea. Al punto che il ministro Passera si è sentito in dovere di annunciare che già  «nei prossimi giorni saranno pronti i decreti ministeriali per rivedere gli incentivi sulle rinnovabili» per arrivare a «un riallineamento dei bonus a quelli che si pagano negli altri Paesi». Perché uno dei motivi del caro bolletta — «un altro aumento non è più possibile» ha commentato l’ex banchiere — è la quota enorme di incentivi che gravano sulle famiglie per una quota monstre di 150 miliardi di euro.
Nonostante gli sforzi di Passera l’humus respirato a Cernobbio durante la due giorni sugli «scenari finanziari e del loro governo», tra ex ministri, ex banchieri centrali, economisti e imprenditori conferma un barometro al negativo con una previsione di crisi strisciante per almeno un altro decennio. Interessante il duello macroeconomico tra il tedesco Jurgen Stark — l’ex membro del comitato centrale della Bce uscito in polemica per gli aiuti ai Pigs — che ha ribadito la sua convinzione che una crescita sostenibile del Pil la si può fare solo con il rigore e con il rispetto dei parametri di Maastricht contro il debito pubblico e il giapponese Richard Koo, chief economist di Nomura, nel ruolo di supersviluppista keynesiano. Secondo Koo, poco importa sfondare la quota tradizione del debito pubblico come ha fatto il Giappone arrivando a superare il 200% del Pil, perché la cosa più importante è sostenere la crescita e l’occupazione. Sarà  anche così, però Passera ha voluto ricordare l’importanza dello spread, e quindi dei comportamenti virtuosi innescati dal governo Monti, facendo un semplice calcolo che converrebbe tenere a mente: «Tra pubblico e privato, il nostro Paese ha circa 3.500 miliardi di debito, ogni punto percentuale di costo su questo debito vale quindi 35 miliardi».
E infine la riforma del lavoro e l’articolo 18. Il presidente uscente di Confindustria Emma Marcegaglia ha ripetuto per l’ennesima volta la sua contrarietà  a una convergenza sul licenziamento verso il modello tedesco (cioè reintegro anche per uscite economiche): «Se cambiamo, dobbiamo cambiare tutto e quindi è meglio non fare la riforma».
Il ministro dello Sviluppo, più conciliante, ha cercato di smussare le asperità  e rilanciare il ruolo del sindacato. «Quando si arriva a un accordo non bisogna prendere “questo sì e quello no”, ma occorre trovare un accordo complessivo che tocchi tutti insieme i vari aspetti». «Con il sindacato — ha aggiunto ricordando la sua esperienza alle Poste — ho sempre visto che si possono fare grandi cose insieme».


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