Lactalis-Parmalat, alta tensione sul blitz Usa

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MILANO – Il prelievo di Lactalis al bancomat Parmalat dimezzerà  il tesoretto di Collecchio mentre i soci minori, con i grandi fondi in testa, affilano le armi in vista dell’assemblea di domani dell’ex impero dei Tanzi. Al centro delle polemiche la contestatissima operazione con cui il gruppo emiliano ha rilevato per 904 milioni di dollari le attività  nei formaggi in Usa e Sud America del gruppo francese. Girando in sostanza un maxi-assegno al suo socio di riferimento transalpino, in una transazione (la Consob ha subito acceso un faro) ad altissimo rischio di conflitto di interessi.
L’azienda dei Besnier ieri ha messo nero su bianco le sue ragioni rispondendo alle richieste di informazioni aggiuntive della commissione guidata da Giuseppe Vegas. Il prezzo, dicono i francesi in 81 pagine di documento, è giusto. E a certificarlo è una valutazione indipendente chiesta a Mediobanca. Per Piazzetta Cuccia – che ha esaminato senza due diligence autonoma i bilanci messi a disposizione da Lactalis – le attività  acquistate da Collecchio valgono tra 787 e 1.002 milioni di dollari. Pertanto «l’operazione – come scrive la banca d’affari milanese – «è di interesse per Parmalat» e il prezzo pagato «è congruo». Anche se il pagamento di 904 milioni di dollari girati a stretto giro di posta ai francesi (indebitati dopo la scalata a Collecchio) dimezzerà  da 1,51 miliardi a 796 milioni la liquidità  raccolta da Enrico Bondi grazie alle cause a banche, manager e revisori.
Nessuno, naturalmente, mette in dubbio la storica professionalità  dei banker di Mediobanca, ma il concetto di indipendenza dell’istituto, almeno a livello estetico, ha dei limiti: Mediobanca ha finanziato i Besnier con 410 milioni in occasione dell’acquisto per 6,7 miliardi della Parmalat anche se non ha partecipato al riscadenzamento di questa maxi-esposizione gestito da altre banche. Il parere dell’istituto è alla base dell’ok all’operazione arrivato all’unanimità  dai tre consiglieri del Comitato di controllo interno e per la corporate governance. Che si sono avvalsi nella loro decisione anche di Pwc per la due diligence contabile e dello studio D’Urso, Gatti e Bianchi per quella legale. Lo stesso che aveva assistito Lactalis durante la scalata a Collecchio.
L’intricatissima matassa dei conflitti d’interesse di questa partita lambisce anche i consiglieri (presunti) indipendenti del comitato governance. I tre manager che dovrebbero stabilire se l’operazione Usa è davvero nell’interesse di Parmalat e di tutti i suoi azionisti e non solo del socio di controllo francese. Il primo, Marco Reboa, è stato fino a dicembre 2011 sindaco di Lactalis Italia e di Galbani (“gli indipendenti non devono aver intrattenuto relazioni economiche con azionisti che condizionino il giudizio” dice il regolamento assembleare di Parmalat). Il secondo, Riccardo Zingales è stato a lungo socio di studio di commercialista con Alfredo Malguzzi, sindaco di Galbani diventato ora (altra curiosità  a rischio di problemi con il testo unico della finanza) sindaco pure di Parmalat. Il terzo è Nigel Cooper, nominato da Assogestioni, in scadenza all’assemblea di domani. Per loro, guarda caso, l’affare (di Lactalis, sostengono i critici) si può fare.


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