Piazza Tienanmen, l’anniversario taciuto

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Nella notte tra il 3 e il 4 giugno 1989 carri armati e reparti dell’esercito arrivati dalle province più remote entrarono nella piazza simbolo della capitale cinese e repressero nel sangue le manifestazioni pacifiche di studenti, lavoratori e cittadini comuni che rappresentano tuttora il più clamoroso episodio di sfida aperta al partito unico dal 1949. Come per ogni anniversario di quella che secondo la storia ufficiale del Partito comunista cinese fu la repressione di una «rivolta controrivoluzionaria», i servizi di sicurezza si sono mobilitati per prevenire qualsiasi ricordo del massacro in cui morirono centinaia di persone. 
L’allora sindaco di Pechino, Chen Xitong: ha scritto (in un libro appena pubblicato) che «parecchie centinaia di persone morirono quel giorno», e quella fu «una tragedia che poteva e doveva essere evitata». Chen, 81 anni, è il primo tra i dirigenti al tempo nel massacro ad aprire una crepa nella storia ufficiale. 
Nessuna crepa invece nella censura: ieri, dopo uno strano crollo della Borsa di Shanghai, sui microblog cinesi era bloccato l’accesso alle parole «Shanghai stock market». Mentre il governo di Pechino si è detto «profondamente insoddisfatto» per le dichiarazioni di un vice portavoce del dipartimento di stato Usa, che ha chiesto la liberazione dei protagonisti della rivolta tuttora in carcere. 
In serata, decine di migliaia di cinesi (150.000 secondo gli organizzatori) hanno preso parte a Hong Kong a una spettacolare veglia per ricordare quelle vittime, con migliaia di candele che hanno illuminato Victoria Park. Il quotidiano South China morning post ha raccontato la storia di Belle Shu-ting, studentessa diciannovenne immigrata a Hong Kong dal Guangdong – emblematica della rimozione in cui sono cresciuti i giovani cinesi: prima di partecipare ieri per la prima volta alla veglia, Belle non aveva mai sentito parlare dei morti di piazza Tiananmen.


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