Foxconn L’ora della rivolta degli schiavi hi-tech

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PECHINO – La fucina cinese del progresso e del consumo globale torna teatro dei più duri scontri contemporanei contro lo sfruttamento dei lavoratori. Oltre mille operai della Foxconn, la fabbrica più grande del mondo con oltre un milione di dipendenti solo in Cina, si sono ribellati contro la sicurezza privata dell’azienda e solo l’intervento della polizia ha impedito il saccheggio dello stabilimento di Chengdu, nel Sichuan. Decine di arresti e di feriti, circondati dagli agenti i capannoni della catena di montaggio e i dormitori dove vivono 120 mila addetti. Protesta e violenza sono esplose dopo che le guardie private hanno fermato un operaio, accusandolo di furto. I colleghi di lavoro sono insorti contro i dirigenti e per qualche ora la situazione della fabbrica è sfuggita al controllo della forze di sicurezza. 
Foxconn è il simbolo della delocalizzazione occidentale e del nuovo “made in China” hi-tech. Produce gli apparecchi elettronici più venduti sul pianeta per i marchi più famosi: da Apple a Nokia, da Hp a Dell. L’officina di computer, telefonini e tablet è diventata un caso internazionale dopo che nel 2010 14 operai si sono suicidati a causa di condizioni di lavoro disumane. Proprio a Chengdu lo scorso anno un’esplosione ha causato due morti e 16 feriti. Lo scandalo Foxconn-Apple ha dato vita in Europa e Usa a un vasto movimento per il boicottaggio dei prodotti del colosso guidato da Taiwan e Hong Kong. Tanto che in marzo Tim Cook, il successore di Steve Jobs, volò in Cina assicurando che Cupertino era «impegnata a migliorare le condizioni degli stabilimenti cinesi».
Due inchieste indipendenti rivelano però ora che, dopo suicidi e promesse, «alla Foxconn non si è affatto voltato pagina». Anzi, la situazione sarebbe peggiorata. Secondo i rapporti di Sacom e Fair Labor Association, abusi, violenza, punizioni e umiliazioni «generano i nuovi e ignorati schiavi del secolo». I dipendenti, pagati tra i 90 e i 240 euro al mese e liberi cinque giorni l’anno, sarebbero costretti a 80-100 ore di straordinari al mese. Chi non ubbidisce ai capireparto «è costretto a pulire i gabinetti, scrivere lettere pubbliche di “confessione e pentimento”, lavorare in piedi, spostare 3mila scatole al giorno, spazzare i cortili e inginocchiarsi davanti ai manager». 
Le intimidazioni, per chi non tiene ritmi da 16 ore al giorno, arrivano a negare la possibilità  di tornare a casa una volta all’anno per vedere i propri cari. Alla Foxconn, tenuta alla protezione di segreti industriali e brevetti dei clienti, è vietato possedere un telefono, gli operai vengono perquisiti più volte e dormono in camerate da 30 brande a castello. Le indagini, presentate a Hong Kong prima dell’assemblea annuale degli azionisti, rivelano che nei primi cinque mesi dell’anno gli infortuni tra Chengdu e Shenzhen sono stati 728. La direzione offre agli infortunati due possibilità : accettare un bonus o licenziarsi. Di qui l’ultima rivolta di Chengdu, a cui Foxconn ha risposto ieri con un «no comment».


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