Il capo della Knesset si arruola tra i falchi

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L’offensiva degli «interventisti» israeliani prosegue. Rimasto in silenzio sino a oggi, il presidente della Knesset Reuven Rivlin, esponente dell’ala oltranzista del partito di destra Likud, ha apertamente sposato la causa di un attacco israeliano in tempi stretti alle centrali nucleari iraniane. «Se non attaccheremo oggi in Iran perderemo il nostro potere di deterrente, che è il nostro bene strategico più importante, e ci troveremo in una situazione molto complessa», ha avvertito Rivlin in un’intervista apparsa ieri sul quotidiano nazionalista Makor Rishon. Il presidente della Knesset ha poi invitato alle dimissioni il capo dello Stato Shimon Peres che qualche giorno fa aveva consigliato al governo del premier Netanyahu di non muovere passi affrettati e di mantenere il coordinamento con gli Stati Uniti. Parole che hanno scatenato la reazione degli «interventisti», guidati proprio dal primo ministro: quest’ultimo scalpita e a tenerlo a freno sarebbe solo la contrarietà  (per ora) dell’amministrazione Usa all’attacco all’Iran.
Netanyahu è tornato anche ieri sul nucleare iraniano, per sostenere che Tehran «prosegue la propria avanzata accelerata per dotarsi di armi atomiche, ignorando al tempo stesso in maniera totale le richieste internazionali nei suoi confronti». Parole pronunciate al termine dell’incontro a Gerusalemme con il congressman Usa Mike Rogers, in visita in Medio Oriente, a commento delle indiscrezioni relative alla installazione di 1000 nuove centrifughe in un impianto nucleare iraniano nella zona di Qom allo scopo di arricchire l’uranio oltre la soglia del 20 per cento. Per Israele questa sarebbe un’altra prova dell’intenzione di Tehran di dotarsi di ordigni atomici. L’Iran ripete che i suoi programmi hanno uno scopo pacifico e le accuse che riceve sono false e volte a favorire gli interessi strategici di Israele, unica potenza nucleare (non dichiarata) in Medio Oriente. Torna in campo, per dirsi contrario a un attacco all’Iran, anche l’ex capo di stato maggiore israeliano, Gaby Ashkenazi. Le sanzioni internazionali, a suo parere, funzionano e, ha aggiunto, esiste «la speranza che la primavera araba arrivi prima o poi anche a Tehran». Secondo Ashkenazi la eventuale offensiva israeliana deve attendere mentre dovranno essere intensificate le azioni di sabotaggio contro le infrastrutture atomiche in Iran.


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