Addio a Sihanouk regnò in Cambogia

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Sempre al centro delle vicende del suo Paese, era riuscito a sopravvivere ai periodi più turbolenti della storia del Sud-Est asiatico, a partire dai difficili anni della decolonizzazione, con l’uscita di scena dei francesi dall’Indocina, fino alla lunga guerra del Vietnam e alla presa di potere, negli anni Settanta, dei Khmer rossi, per i quali si prestò a ricoprire il ruolo di capo (fantoccio) di uno Stato ormai preda di una furia autodistruttiva.
Malato da tempo, Sihanouk aveva scelto di lasciare lo scettro per l’ultima volta otto anni fa, al termine di un difficile percorso politico che lo aveva lasciato esausto. Mentre uno dei figli, Norodom Sihamoni, prendeva il suo posto, Sihanouk, nominato dal consiglio della corona «sua maestà  il re padre della Cambogia», prendeva la strada di Pyongyang prima e Pechino poi, dove contava buoni amici sin dai tempi di Mao. Allora nessuno credeva che l’abdicazione, l’ennesima, sarebbe stata definitiva. «Spero che ci ripensi», aveva commentato a Phnom Penh uno dei figli di Sihanouk, il principe Ranariddh, allora presidente dell’Assemblea nazionale e leader del partito monarchico. In realtà , per la prima volta nella sua vita, Sihanouk, figura istrionica e, a volte, contraddittoria, non sarebbe più tornato sui suoi passi.
Dal 1941 sul trono della Cambogia (allora francese), cineasta e cantautore per diletto, Sihanouk ha costellato la vita di dimissioni, alcune volontarie, altre meno. Nel 1955 lasciò il trono al padre Suramarit per dedicarsi alla politica attiva, dando vita a un partito di impronta socialista e populista. Nel 1960, morto il padre, si fece nominare capo di Stato, lasciando la Cambogia un regno senza re. Nel 1970 furono gli Stati Uniti a convincere Sihanouk che era di nuovo venuto il momento di lasciare il potere: era all’estero quando, il 18 marzo, il golpe del maresciallo Lon Nol lo depose e gli americani si sentirono più legittimati nel coinvolgere la Cambogia nell’inferno vietnamita. Ma il destino aveva in serbo altre sorprese per Sihanouk, l’uomo capace delle più improbabili giravolte senza tema di rimanere bruciato: alleatosi con i guerriglieri maoisti che lui stesso battezzò «Khmer rossi», accettò alla fine di fare il capo di Stato del sanguinario regime di Pol Pot. Nuove dimissioni nel 1976 e nuova resurrezione nel 1993, quando tornò «re dei cambogiani». Fino all’ultima abdicazione e al congedo definitivo dal mondo.
Paolo Salom


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