La macchina della burocrazia e le garanzie dovute dopo gli annunci

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Nessuna democrazia può guardare con noncuranza al protrarsi di un simile conflitto tra pubblica amministrazione e società  civile, figuriamoci un Paese come il nostro affetto da instabilità  politica, recessione acuta e abbondante produzione di retorica negativa.
Di conseguenza il decreto che il governo Monti si appresta a varare per iniziare a pagare una tranche di quel debito (40 miliardi) va salutato con favore perché costruisce un piccolo «ponte» e perché recepisce in parte le osservazioni che le organizzazioni di rappresentanza delle imprese avevano avanzato alle bozze circolate nei giorni scorsi. In sede di consuntivo non va poi dimenticato come tante volte nei mesi scorsi lo sblocco dei rimborsi sia stato annunciato con formali conferenze stampa e in altrettante occasioni si sia rivelato solo un falso allarme. O peggio un test di comunicazione. Di conseguenza se fossimo nei ministri in carica eviteremmo ripicche e polemiche, conserveremmo nei confronti dell’opinione pubblica e soprattutto delle imprese creditrici un atteggiamento sereno come si conviene a dei buoni servitori dello Stato.
In una mail inviatami nei giorni scorsi da un alto burocrate è sintetizzato in poche parole il senso più profondo della vicenda di cui ci stiamo occupando. Scrive il dirigente: «La cosa più deprimente di tutta la vicenda dei crediti verso le imprese è che l’amministrazione pubblica non è stata in grado di gestire un processo che poteva tranquillamente funzionare. In Italia purtroppo l’amministrazione si basa ancora sulla volontà  dei singoli e non su un’organizzazione che prescinde dalle persone». E qui si innestano i dubbi che ieri Rete Imprese Italia ha avanzato nel merito del decreto. Sottolineo che a porli, a nome delle associazioni degli artigiani e dei commercianti, non è stato un improvvisato Masaniello dell’anno di grazia 2013 ma un dirigente moderato come il portavoce Carlo Sangalli. La preoccupazione delle imprese riguarda il complesso meccanismo messo in piedi dal ministero dell’Economia e il fondato rischio che in questa o quella fase dell’implementazione tutto si possa inceppare proprio perché la pubblica amministrazione italiana vive «sulla volontà  dei singoli». A quel punto cosa accadrebbe? Che cosa finirebbe per prevalere, l’inerzia dell’amministrazione o il diritto dei creditori? Si accettano scommesse.
Allora se si vuole evitare di allargare il fossato tra lo Stato e i Piccoli, se si vuole trasformare la vicenda dei rimborsi in antropologia positiva occorre che alle imprese venga riconosciuto qualcosa che assomigli a una clausola di salvaguardia che scatterebbe in caso di ingiustificato stop all’iter di pagamento. Lo strumento tecnico da usare esiste ed è quella compensazione crediti/debiti che nel decreto cominciava a far capolino ma che ieri sera è stato bocciato dalla Ragioneria dello Stato. In questa che appare una contesa tra pubblico e privato non va dimenticato che degli effetti dell’entrata in circolazione nell’economia reale dei 40 miliardi non si avvantaggerebbero solo gli imprenditori creditori ma un arco di soggetti assai più ampio ed oggi pericolosamente incastrato in una condizione di disagio e sofferenza sociale.


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