Pd, compromesso sulle regole: quota e «adesione» per votare

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ROMA — C’è una strada strettissima. Ed è l’unica che Guglielmo Epifani può percorrere nel tentativo disperato di mettere d’accordo tutte le anime del Pd in vista della riunione della commissione per il congresso di dopodomani. Altrimenti il segretario potrebbe cedere al pressing dei tanti che nel fronte «governista» Bersani-Franceschini-Letta (il secondo ieri ha smentito l’ipotesi di un disegno col Ppe) gli stanno suggerendo l’idea di rinviare «il confronto sulle regole del congresso», e quindi la Direzione del partito, a settembre. Magari ribadendo la garanzia, a uso e consumo di Matteo Renzi, che le assise si terranno comunque «entro novembre».

La strada stretta del segretario, che continua ad allontanare il più possibile lo spettro di una «conta» in Direzione «che lacererebbe ancora di più il partito», rimanda all’unico compromesso che Epifani ha individuato. Quello di accontentare l’asse «governista», lasciando che i segretari provinciali e regionali vengano eletti dai soli iscritti in un primo momento. E quello di aprire il più possibile alle istanze di Renzi, lasciando che il segretario nazionale venga eletto da primarie «a cui parteciperebbero gli iscritti e gli aderenti che firmeranno una carta di sostegno e verseranno una quota».

Ma già «la quota», che Beppe Fioroni vorrebbe commensurata alle possibilità economiche di chi si presenta ai gazebo, comincia a essere guardata con sospetto da chi sostiene il sindaco di Firenze.«Servono primarie apertissime. E Renzi può e deve candidarsi», dice il veltroniano Walter Verini. «Non possiamo impedire agli elettori del Pd di partecipare alle primarie e dobbiamo puntare a una partecipazione», è l’idea su cui il segretario emiliano Stefano Bonaccini, che di quella commissione è componente, ha schierato tutti i vertici provinciali del partito. Per non parlare della scelta di far scendere in campo i candidati nazionali solo nella seconda fase del congresso, che trova anche l’opposizione dei Giovani turchi. «Glielo dico in una parola. Inaccettabile», ribatte senza mezzi termini Matteo Orfini.

Ed è niente rispetto ai toni con cui i componenti della commissione per il congresso si avvicinano alla riunione di dopodomani. «C’è gente che vorrebbe portare il partito in tribunale. Una discussione con queste persone mi pare difficile», sottolinea Nico Stumpo, convinto che alla fine «il punto centrale sia politico, e cioè stabilire che il segretario non sia il candidato premier». Per il deputato bersaniano, l’ipotesi dei renziani di rendere permanente la deroga concessa l’anno scorso a Renzi e Puppato «non è una strada percorribile. A noi non va bene». Subordinate? «Se lo statuto non cambia, ricordo che la situazione attuale prevede prima una consultazione tra gli iscritti e poi le primarie aperte. Ma se il primo non arriva al 50 percento più uno, poi deve fare un ballottaggio nell’Assemblea nazionale…». Uno scenario limite. Come le voci che Letta a settembre possa proporre a Renzi di aspettare «il suo turno» nel 2015, magari in cambio della promessa di non ricandidarsi lui. Ma sono tutti tasselli di un puzzle che Epifani deve cominciare mettere insieme entro quarantott’ore. Altrimenti, per evitare lo scontro in una Direzione non ancora convocata, ci sarà soltanto un rinvio del dibattito. A settembre.

Tommaso Labate


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