Il disturbo bipolare della finanza

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Eppure persino il Fondo Monetario Internazionale ha in qualche modo «chiesto scusa» riconoscendo che con l’austerità il Pil diminuisce più velocemente del debito, quindi il rapporto continua a peggiorare.
In Italia registriamo l’ottavo trimestre consecutivo di recessione, il tasso di disoccupazione ha superato il 12% e la disoccupazione giovanile sfiora il 40%. Ma anche nel nostro Paese continuiamo ad applicare le stesse ricette fallimentari che non solo hanno messo a dura prova la capacità di resistenza sociale ed economica di molti italiani, ma non sono nemmeno servite da un punto di vista macroeconomico, visto che dopo due anni di austerità il rapporto debito-Prodotto interno lordo è passato dal 120% al 130%.
Ancora peggio a fronte dell’austerità per Stati e cittadini assistiamo a politiche espansive e montagne di liquidità a basso costo per le grandi banche e il sistema finanziario, con il rischio concreto di uno scollamento tra l’economia reale in recessione e i valori dei titoli finanziari ai massimi, ovvero con la formazione di una nuova bolla finanziaria, quasi interamente creata dal denaro facile di governi e banche centrali.
Sono i temi che abbiamo sviluppato a inizio settembre nel forum di «Sbilanciamoci!». Nelle ultime settimane è diventato palese come il gigantesco casinò finanziario (che da 30 anni postula che i mercati sono efficienti e il settore pubblico deve farsi da parte) sia interamente dipendente dalla liquidità a basso costo e dal sostegno del settore pubblico.
Prima dell’estate la crescita dell’economia statunitense è stata rivista al ribasso. Meno crescita, quindi meno profitti, quindi i mercati scendono? Al contrario, Wall Street ha reagito con una giornata euforica e rialzi su tutti i listini. L’opposto a luglio: i dati sulla disoccupazione negli Usa sono risultati migliori del previsto (195.000 lavoratori in più, contro i 165.000 previsti dagli analisti) e l’economia sembra sul punto di ripartire. Il risultato è stato un vistoso calo in tutte le principali Borse del pianeta.
Da un lato il motivo di questo scollamento tra economia reale e reazione delle borse è semplice: se la disoccupazione scende e l’economia riparte, la Fed potrebbe diminuire o interrompere l’enorme liquidità che sta immettendo mensilmente sui mercati finanziari, con il rischio di uno scoppio o per lo meno di sgonfiamento della bolla. Al contrario, finché la disoccupazione è stabilmente sopra il 7%, questo sussidio alla finanza continuerà.
Siamo alla schizofrenia conclamata: se l’economia va bene la finanza crolla, se va male i mercati esultano. Si può ancora parlare di una finanza al servizio dell’economia e della società? O l’industria finanziaria è diventata un enorme fardello sulle spalle di governi e cittadini, che assorbe una quota crescente di ricchezza solo per non collassare e che non svolge nemmeno più il proprio compito di allocare i capitali nell’economia stessa, dedicandosi quasi esclusivamente ad attività speculative?
Oggi più che mai è necessaria una «cura dimagrante» della finanza e regole e controlli per chiudere il casinò che abbiamo sopra la testa. Per questo è ancora più urgente che le persone si domandino che fine fanno i loro soldi una volta depositati in banca o affidati a un gestore finanziario. Perché quasi tutti in Italia hanno un conto corrente ma è praticamente impossibile avere un mutuo o per artigiani e piccole imprese un qualche finanziamento bancario? Dove vanno a finire sia i nostri soldi sia le centinaia di miliardi di euro prestati a tassi bassissimi dalla Bce? Cosa possiamo fare per cambiare strada?


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