Letta: «Ora basta veleni» E prepara la sfida in Europa

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ROMA — «Il Parlamento se vuole può votarmi la sfiducia». A dispetto del tono di voce è un Enrico Letta insolitamente furioso quello che, alla Camera, respinge le critiche di un parlamentare grillino e sfida le forze politiche che mettono a rischio la stabilità del Paese: «Onorevole Sibilia, è difficile trovare punti concreti negli insulti che lei mi ha rivolto… La prossima volta parli del tema di merito. Le aggiungo che il presidente del Consiglio non può essere destituito dal capo dello Stato, ma solo da questo Parlamento».
Bugiardo? Ladro? Giuda? Se questa volta, a dispetto della sua immagine di abile mediatore, il premier va giù duro contro chi lo accusa di aver «venduto l’Italia per 30 denari», è perché si è stancato di un dibattito politico imbevuto di attacchi velenosi e provocazioni gratuite. «Il mio filo rosso è la concretezza», avverte. Perché il Paese ha tali e tanti problemi che sprecare il tempo in chiacchiere non si può più.
Pdl e Scelta civica sono a rischio scissione, la maggioranza si è spaccata sull’Antimafia, sulla legge di Stabilità è battaglia e dalla decadenza di Berlusconi non possono arrivare che guai, ma Letta è determinato a concentrare tutte le sue energie sui dossier del Consiglio europeo. Perché è dalle decisioni di Bruxelles — e non dalle polemiche di politica interna — che possono arrivare risorse per l’Italia e posti di lavoro per i giovani. Il nostro Paese ha stretto a lungo la cinghia e per il capo del governo è arrivato il momento di portare a casa i frutti: «I sacrifici sulla disciplina di finanza pubblica sono accettati se poi c’è una ricompensa e una svolta». La ricerca e l’innovazione «non possono essere sacrificate sull’altare della sola austerity e dei tagli» e bisogna che l’Unione trovi finalmente «un equilibrio tra quanto è chiesto agli stati in surplus e quanto agli stati in deficit».
Letta, «europeista radicale», ci crede. Al Consiglio europeo porterà l’«orgoglio» per le cose buone che ritiene di aver fatto e che da qualche giorno ha cominciato a rivendicare senza più timidezza: «Con il click day 11.800 giovani avranno un posto di lavoro a tempo indeterminato, è ancora poco ma è la strada giusta». Nella valigia per Bruxelles il premier ha messo un lungo elenco di richieste, dall’immigrazione alla disoccupazione giovanile, dall’agenda digitale all’unione bancaria. Non è disposto «ad accettare compromessi al ribasso» e chiede alla maggioranza di fare la sua parte: «Non abbiamo mai avuto atteggiamenti timidi in Europa, ma per raggiungere gli obiettivi c’è bisogno di un Paese credibile e di stabilità».
Dalla Camera e poi dal Senato incassa il via libera sulla mozione con cui la maggioranza appoggia la sua missione in Europa, ma è evidente che al premier non basta. Le fibrillazioni costano anche in termini economici e un Paese con anni di crisi alle spalle non può permetterselo. La legge di stabilità abbassa il deficit al 2,5 per cento e l’Italia ha le carte in regola per chiedere all’Europa politiche economiche all’insegna della solidarietà e di una «prospettiva» di futuro. Ma se la stabilità viene meno, i sacrifici finiscono in mare… La preoccupazione per la tenuta della maggioranza filtra dai ragionamenti pubblici di Letta, che ha pranzato al Quirinale con Giorgio Napolitano per mettere a fuoco i principali temi del Consiglio europeo assieme ad Alfano e ai ministri Bonino, Saccomanni, Zanonato, Giovannini, Carrozza e al sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Patroni Griffi.
L’obiettivo di Letta è il 2015, con il passaggio cruciale del semestre italiano di presidenza. Una scadenza sulla quale il premier punta tutte le sue carte: «Dobbiamo trasformare i passi avanti di questi mesi in una rivoluzione. Il nostro semestre sia la base per l’Europa unita, perché solo con gli Stati uniti d’Europa possiamo affrontare le scelte che i tempi pongono anche al nostro Paese».
Ma intanto i problemi per Letta arrivano dalla sua inquieta maggioranza. L’elezione di Rosy Bindi all’Antimafia è un nuovo fattore di instabilità. Il premier avrebbe preferito un nome condiviso dai partiti, ma non ha mai voluto intromettersi nella vicenda lasciando che fosse Epifani a gestire le trattative. Non che Letta avesse preclusioni sulla ex presidente dei democratici, ma sperava che lo schema tradizionale di un accordo bipartisan avrebbe retto anche stavolta. Così non è stato.
A sera Letta ha ricevuto a Palazzo Chigi il premier israeliano Benjamin Netanyahu, che oggi a Roma incontrerà il segretario di Stato Usa, John Kerry. «Il processo di pace in Medio Oriente è tra le questioni più importanti — lo ha accolto il capo del governo —. Spero che questa discussione porterà qualcosa di positivo».
Monica Guerzoni


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