Parà ed elicotteri russi. L’Ucraina in allarme: «Pronti a difenderci»

Parà ed elicotteri russi. L’Ucraina in allarme: «Pronti a difenderci»

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SINFEROPOLI — «C’invadono!». Le guardie ucraine di Kherson hanno binocoli fissi da giorni. Pattuglie mobili, radar, visori notturni. Gli occhi sulle tende russe ad Armiansk, le postazioni scavate in Crimea. L’ordine è di guardare tutto, non sparare mai: «Se a uno scappa un colpo — diceva il sottotenente Valeriy Matzko, nei primi giorni d’assedio —, è un colpo che si sente in tutta l’Ucraina». Alle cinque del pomeriggio, le guardie ci mettono un attimo a vedere, di più a non reagire: 60 parà russi che atterrano con sei elicotteri ai margini di Strilkove, il primo paesino che s’incontra in macchina uscendo dalla Crimea. Altri 60, altri elicotteri, che si calano poco dopo. Blindati, qualche Tiger Gaz-2330. Le truppe russe che si piazzano intorno a una stazione di gas naturale: «Siamo qui per proteggere le nostre infrastrutture». Dopo la Crimea, sono i primi dieci chilometri d’Ucraina che si prendono. Una vera invasione, dice Kiev. Un’escalation scandalosa, accusano gli americani. Non è la prima volta che i russi ci provano, e la posizione militare non è la più significativa. Ma è il segnale, che conta: «Chiediamo il ritiro immediato delle forze militari — avverte di nuovo l’Ucraina —, altrimenti risponderemo con tutti i mezzi». Lo dice ancora più chiaro Yuriy Sergeyev, ambasciatore all’Onu: «Ci prepariamo a difenderci. Finora siamo stati calmi. Da lunedì, si cambia atteggiamento».
Basta poco. Una scintilla in una stazione di gas, e può saltare tutto. Mosca gioca a incendiare, l’Ucraina ad allarmare. Questa sera la Crimea diventerà un pezzo di Russia, quando alle otto si chiuderanno le urne per l’indipendenza, e l’aria che cambia si respira già. Strategia della tensione. I due morti di giovedì a Donetsk, nell’Est filorusso. Una misteriosa sparatoria venerdì notte a Kharkiv, zona russofona, con un putiniano delle milizie popolari ucciso assieme a un passante dall’ultradestra ucraina di Pravi Sektor, cinque feriti e trenta arrestati. Il sequestro e il rilascio lampo del cappellano ortodosso della Marina di Sebastopoli, padre Mykola Kvych, prete ortodosso che da giorni veniva minacciato. I blindati con la bandiera della Crimea indipendente che già cominciano a girare per le strade. Le decine di missili S-300 dispiegati sul mare di Kerc. Un’incursione serale nell’hotel Mosca, nella capitale crimea, dove dorme un centinaio di giornalisti: pancia a terra, perquisizioni, «stiamo cercando alcuni terroristi». Mosca ha naturalmente una spiegazione, per le esercitazioni militari lanciate al confine e le nuove incursioni: «Ci sono numerosi appelli d’aiuto dei russi d’Ucraina, non possiamo ignorarli», dice il portavoce della Duma. L’intervento fraterno può estendersi, se il 21 marzo Kiev firmerà l’associazione all’Ue (ovvero quell’accordo, saltato a novembre, che portò alla cacciata di Yanukovich e all’occupazione della Crimea) e se «le violenze contro la parte russofona dovessero continuare». C’è un ultimatum ai soldati ucraini, ancora circondati nelle basi: possono arrendersi, andarsene o cambiare divisa, a loro scelta. «Moralmente — dice il comandante della base di Sebastopoli, il colonnello Yuli Mamchur —, non siamo pronti a sparare sui russi. Ma la situazione può peggiorare da un’ora all’altra. Che cosa devo fare? Me lo dicano, quelli che ci governano a Kiev… Le madri dei miei soldati non me lo perdonerebbero, se venisse versata una goccia di sangue». Il premier del governo locale, Sergei Aksionov, già chiede ai soldati di deporre le armi e di votare per la Russia. S’allarga: «I fratelli di Donetsk si ribellino come noi. E indicano un referendum, pure là».
Vergognoso e illegale, lo definisce a nome di tutto l’Occidente la Francia: eppure oggi si terrà, un milione e mezzo di schede gialle, due domande per chiedere in sostanza se si vuole l’indipendenza e aderire alla Federazione russa, 633 giornalisti accreditati e nessun osservatore internazionale, a parte i 24 inviati dalla Duma russa e alcuni parlamentari sciolti d’Italia, Portogallo, Austria, Israele, Cina, Mongolia… «Sono qui per vedere se il voto si svolge in un clima di libertà», dice Fabrizio Bertot, eurodeputato di Forza Italia, invitato dagli stessi russi che hanno respinto le delegazioni Osce. Nessun imbarazzo, a legittimare una consultazione che il Parlamento europeo e la comunità internazionale non riconoscono? «Io non rappresento il Parlamento europeo, né la posizione italiana. Sono qui a titolo personale. Il referendum è stato indetto dal Parlamento, quindi è di per sé legittimo…». Anche se si tratta d’una Rada occupata dai soldati? «Non so giudicare. Io vengo per tutelare gl’interessi economici italiani. E gl’italiani che vivono in Crimea. Altro che russi: loro hanno paura dei fascisti che stanno a Kiev».


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