LAVORI. Decolla il sindacato dei precari. Il NIdiL-CGIL a congresso

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(da “La Repubblica”, MERCOLEDÌ, 08 FEBBRAIO 2006, Pagina 37 – Economia)

Dal congresso Nidil-Cgil emerge una figura nuova di sindacalista, atipico e a tempo come i lavoratori che rappresenta

Decolla il sindacato dei precari

Raddoppiano gli iscritti: “Noi invisibili scopriamo le assemblee“

Dalle prime riunioni carbonare all´impegno organizzato di 174 delegati
“Il nostro scopo? Stabilizzare il lavoro e qualcosa riusciamo a fare“
“Alla precarietà mi sono abituata, ma non all´idea che per mio figlio sia lo stesso“
“Tra di noi non solo giovani ma anche gente sui 40 o 50 anni espulsa dalle industrie“

ROBERTO MANIA

RICCIONE – Comincia con un rap il secondo congresso di Nidil, e qualcuno accenna pure a ballare. Così è chiaro fin da subito che non si tratta di un normale congresso sindacale. E´ atipico, come i suoi 174 delegati. Qui al palazzo del turismo di Riccione ci sono i rappresentanti sindacali dei co.co.co, dei co.co.pro, dei lavori interinali o a somministrazione. Basta avere fantasia per trovare quello giusto, di contratto, tra i ben quarantotto censiti dell´Istat dopo l´approvazione delle «legge Biagi». Sono i sindacalisti destrutturati come il lavoro che svolgono e che rappresentano. Sono soprattutto giovani e donne. E non assomigliano ai sindacalisti di professione. Quelli, cioè, a tempo indeterminato, per tutta la vita in distacco, fino alla pensione.
Qui, invece, si scade anche da sindacalisti. «Perché, sapete, anch´io non so se sarò confermato», dice, al termine del suo intervento, il delegato Michael Paterna che viene da una fabbrica metalmeccanica di Forlì dove – racconta – «per la prima volta il sindacato dei lavoratori atipici ha fatto un´assemblea». Una conquista. Qui ciascuno porta la sua esperienza un po´ da lavoratore, un po´ da sindacalista, ma sempre da outsider. E sembra di essere tornati indietro a tanti decenni fa, quasi agli albori dell´attività sindacale. «Sono qui, ma sono «clandestino»», dice Antonio Damiano, co. co. co del Formez di Pozzuoli da cinque anni ma «ora senza contratto». A delegarlo è stata l´assemblea dei lavoratori, ma nessun contratto o accordo collettivo prevede i suoi diritti sindacali.
Nidil è l´ultima categoria nata nella casa della centenaria Cgil.
E´ arrivata nel 2002. Questo è il suo secondo congresso: in quattro anni gli iscritti sono aumentati del 90%, sfiorando quota 22 mila. Il gruppo dirigente è giovane, per il 54% è sotto i 40 anni; quasi il 53% è donna.
L´acronimo sta per «Nuove identità di lavoro». Il quale, più che il sindacato dei nuovi lavori, tende a richiamare un analgesico o una marca di detersivi. Un buon pubblicitario avrebbe fatto di meglio. Tant´è. Questo è un sindacato atipico. Fino al punto che – spiega Daniele Bordigoni, 32 anni, metà procuratore legale (quasi avvocato), metà sindacalista di Nidil a La Spezia – «siamo l´unico sindacato che è contento di perdere iscritti». A favore, s´intende, di altre categorie. «Perché – aggiunge – se si ottiene il risultato, il lavoratore passa ad altri». Dove il «risultato» è la stabilizzazione del rapporto di lavoro, è il lavoro standard, dentro la cittadella, sempre più stretta, dei garantiti.
Bordigoni è stato obiettore di coscienza ed è entrato alla Cgil attraverso il servizio civile. Poi ci è rimasto. E racconta delle prime – quattro anni fa – riunioni «carbonare» alla Camera del lavoro della sua città per aggregare simpatizzati e poi iscritti.
Perché è difficile fare proselitismo quando spesso manca anche un luogo fisico comune dove si svolge il lavoro degli «invisibili», come si intitola la mostra fotografica allestita accanto alla sala del congresso. «All´inizio – aggiunge Bordigoni – , tra i lavoratori atipici c´era anche qualche timore ad avvicinarsi al sindacato. Chi lo faceva, lo faceva soprattutto per trovare informazioni utili. Ora c´è la tendenza a cercare il sindacato. Insomma da sportello informativo a soggetto contrattuale». Ma quale contratto? Sostanzialmente gli accordi aziendali, anche nel settore pubblico con gli enti locali. Ne sono stati fatti 220 che interessano oltre 110 mila collaboratori e che hanno permesso di stabilizzare 187 mila rapporti. Una goccia in quel milione e passa di co.co.co o co.co.pro.
Diversi accordi sono stati sottoscritti per i lavoratori dei call center, la nuova fabbrica fordista-taylorista, dove la prestazione è all´insegna della parcellizzazione e di un´alienante ripetitività. C´è chi ricorda i deludenti risultati al megacentro di Atesia a Roma sud, con gli iscritti che vanno e vengono. Ma anche chi – sempre Bordigoni di La Spezia – il buon accordo alla «Call and call» (280 operatori di cui 70 stabilizzati) della sua città che prevede una specie di salario minimo garantito e anche una mutua sanitaria. Sì, perché con l´espansione dei lavoratori flessibili sono tornate anche le mutue sanitarie, per sostenere economicamente chi si assenta dal lavoro per malattia, maternità o, in alcuni casi, di infortunio.
Marina Castellani viene da Verona, non è più giovanissima. E´ co.co.co al Comune e fa l´allenatrice nell´unica società sportiva comunale d´Italia. Per vent´anni ha lavorato con contratto a tempo determinato sempre rinnovato, poi è diventata collaboratrice.
«Come i grandi allenatori di basket o calcio sono a rischio, ogni anno». Ma il punto non è questo. Il punto è che a Verona lei, insieme ad altri, è riuscita a fare entrare il sindacato nel mondo dello sport «dove non si parla di politica, figurarsi di sindacato». Eppure, piano piano, si sono organizzate le prime assemblee, «si è capito come lo stato di incertezza possa condizionarci quando alleniamo i nostri giovani atleti». «Certo – aggiunge la Castellani – tutto questo è molto lontano da quello che mio padre, operaio calzaturiero, immaginava per me. Io alla precarietà mi sono abituata, ma non mi riesco ad abituare all´idea che mio figlio possa subire la stessa perversa situazione». Il «meno ai padri, più ai figli» che solo un decennio fa suscitò scalpore, oggi è del tutto impensabile. E oggi si assiste anche ad una preoccupante regressione. Perché non è vero che il lavoro precario riguardi esclusivamente le giovani generazioni. «Nella mia provincia – spiega Silvia Biagini, 31 anni co.co.co. al centro per l´impiego di Pistoia – le ristrutturazioni nelle industrie tessili colpiscono le persone che hanno 40, 50 anni. Per loro l´alternativa alla disoccupazione è quasi sempre il reimpiego con contratti atipici». E con la prospettiva di una pensione ancora più magra. Solo allora si scopre che l´altra faccia della precarietà è un assegno pensionistico poco sopra quello sociale, oggi a 370 euro al mese. Tutto questo racconta il congresso di Nidil. E il dibattito intorno alle tesi congressuali alternative che tanto appassiona i «vecchi» sindacalisti della Fiom? Qui a Riccione neanche un cenno. Ma questo, d´altra parte, è un sindacato atipico.

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