“Nessuna separazione, siamo divisi da sempre”

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BRUXELLES – La vittoria dei separatisti moderati in Belgio non è il preludio ad una stagione di violenze e neppure ad uno smembramento cruento del Paese, assicurano tutti i responsabili politici. Ed è vero che, se si escludono alcuni incidenti tra fiamminghi e francofoni negli anni ’50 e ’60, la rivalità  tra le due comunità  non ha mai dato luogo a violenze.

Tuttavia l’elenco delle vittime della separazione linguistica è lungo. A cominciare dagli otto passeggeri morti nel 2001 in uno scontro tra due treni a Grez-Doiceau, nel Brabante vallone. Il responsabile del traffico di Wawre, cittadina francofona, dove un treno era passato bruciando un semaforo rosso, cercò disperatamente di avvertire la stazione di Lovanio, distante pochi chilometri ma in zona fiamminga, per dire di non far partire il convoglio che si sarebbe trovato in rotta di collisione. Nessuno capì il messaggio in francese e, quando il vallone cercò di spiegarsi in fiammingo, lo fece talmente male che dall’altra parte gli attaccarono il telefono in faccia. Lo scontro fu inevitabile ma nessuno venne incriminato: «procedure rispettate». Più recentemente, un automobilista marocchino che aveva scorto un giovane camminare di notte in mezzo all’autostrada attorno a Bruxelles, cercò di avvertire la polizia. Ma la centralinista, fiamminga, non capì l’allarme. Il ragazzo venne travolto e ucciso più di mezz’ora dopo la telefonata.
L’elenco potrebbe continuare a lungo. Se un francofono ha un incidente o si sente male in territorio fiammingo, o viceversa, finisce in un ospedale dove non ha modo di comunicare con i dottori e il personale sanitario. O, se compie un’infrazione stradale, può venire fermato, multato o addirittura arrestato senza capire perché. I più colti, tra fiamminghi e valloni, in caso di necessità  o di urgenza, spesso comunicano tra loro in inglese.
Ciò che rende difficilmente sanabile la frattura del Belgio è il fatto che si tratta dell’unico Paese d’Europa, e forse del mondo, in cui i cittadini proprio non si capiscono tra loro. Non c’è una lingua dominante e neppure una lingua veicolare. A parte l’area di Bruxelles, dove almeno chi è a contatto con il pubblico è tenuto a parlare sia francese sia fiammingo, il Belgio non è un Paese bilingue, ma un Paese dove si parlano due lingue diverse (anzi, tre, visto che c’è anche una esigua minoranza tedesca). Quando il re o il primo ministro, pronunciano un discorso, cominciano magari in francese, poi proseguono in fiammingo, quindi inseriscono una frase in tedesco, ritornano al francese e concludono in fiammingo. Risultato: pochi sono quelli in grado di capire per intero. Una delle ragioni che, dopo la Grande Guerra, innescò le prime proteste nelle Fiandre, fu che i soldati fiamminghi morirono a migliaia perché non capivano gli ordini dei loro ufficiali, prevalentemente francofoni. Negli ultimi cento anni la situazione non è molto migliorata.
Ieri il re Alberto ha ufficialmente cominciato le consultazioni ricevendo prima il leader separatista Bart De Wever e poi il segretario socialista Elio Di Rupo. De Wever, che non fa mistero della sua ostilità  al trono, si è presentato a Palazzo senza cravatta. La presenza della monarchia, molto popolare, è uno dei tre fattori che rendono difficile lo smembramento del Paese. Il secondo nodo che unisce i belgi, o meglio che impedisce loro di dividersi, è la questione di Bruxelles. Situata nel cuore delle Fiandre, è a gran maggioranza francofona. In caso di separazione, è impensabile che possa accettare di essere congiunta alla parte fiamminga. Né che le Fiandre accettino di trovarsi una gigantesca enclave francofona al centro del loro territorio. Il terzo problema è quello dell’enorme debito pubblico: circa il cento per cento del Pil, inferiore solo a quello dell’Italia e della Grecia. Se Francia e Olanda dovessero assorbire le due comunità  linguisticamente a loro omogenee, dovrebbero accollarsi anche un debito pro-capite.
Ma l’enorme debito peserà  anche, in positivo, sui complicati negoziati per la formazione del governo. Con l’euro sotto attacco, un Paese molto indebitato, diviso e senza leadership appare infatti come una vittima predestinata della speculazione. I politici più responsabili se ne rendono conto. Se non troveranno rapidamente un accordo, il Belgio rischia di scomparire non a causa della separazione, ma sotto una montagna di debiti insoluti.


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