Quel che nessuno dice: entro il 2050 l’uranio sarà  esaurito

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Il governo dice che le centrali saranno pronte entro il 2020. Quello che nessuno dice è che per allora l’uranio potrebbe essere sulla via dell’esaurimento. Lo scorso ottobre l’analista Adam Schatzker, del gruppo finanziario RBC Capital Markets, ha affermato che le previsioni sulle estrazioni di uranio registreranno dei deficit a partire dal 2012-13, con un conseguente aumento del suo costo sul mercato1. Un deficit destinato a crescere negli anni a seguire. Solo in questo primo scorcio di 2011, ad esempio, il prezzo è aumentato già  del 32% rispetto all’anno prima2.
A determinare la scarsità  dell’elemento, a parere di Schatzker, sarà  l’impennata della domanda nel mondo e soprattutto della Cina. Lo scorso luglio Pechino ha annunciato l’intenzione di costruire 60 nuove centrali entro il 20203, che andrebbero ad aggiungersi a quelle già  esistenti. Secondo la World Nuclear Association, se il progetto andrà  in portò la potenza nucleare cinese toccherà  quota 85.000 megawatt, circa nove volte quella attuale. Ma ogni centrale necessita di 400 tonnellate di uranio all’anno, il che porterà  ad un picco delle importazioni, e quindi dei prezzi. Solo nel 2010 la Cina ha importato 17.136 tonnellate di uranio, il triplo rispetto al 2009. Come al solito, sono i grandi numeri di Pechino a spostare gli equilibri del resto del mondo.
A ciò va aggiunta la fine dello smantellamento dell’arsenale atomico russo entro il 2013, che ridurrà  l’uranio a portata di mano in circolazione. Si calcola che lo smantellamento delle testate fornisca circa un terzo (20-25.000 tonnellate) del fabbisogno di uranio su scala globale. L’esaurimento di questa fonte, di conseguenza, peserà  non poco sulle quotazioni di mercato dell’uranio da estrazione.

Oggi nel mondo sono operativi 441 reattori nucleari in 30 paesi, per una capacità  totale di oltre 376 gigawatt, i quali necessitano ogni anno di 69.000 tonnellate di uranio. Attualmente, 59 nuovi reattori sono in costruzione; altri 493 (tra cui i quattro che dovrebbero sorgere ne Belpaese) sono stati proposti o pianificati e altri 84 progetti, infine, sono in fase studio. Se tutti questi progetti dovessero essere implementati, secondo l’Agenzia Internazionale dell’Enegia Atomica (IAEA) la produzione di energia dovuta al nucleare toccherà  quota 807 gigawatt4.
Nel 2007 l’Uranium Resources, Production and Demand, nota come Red Book, che viene pubblicata ogni due anni in collaborazione da IAEA e NEA, le agenzie per l’energia nucleare rispettivamente dell’Onu e dell’Ocse, contabilizzava circa 5,5 milioni di tonnellate di uranio nelle riserve accertate e quasi il doppio (10,5) in quelle ancora da scoprire. Sufficienti per foraggiare le centrali per oltre 100 anni5. Il successivo rapporto del 2009 rivedeva le cifre al rialzo. Stime in realtà  ottimistiche. Va escluso dal computo l’uranio presente in mare (tre parti per miliardo, per un ammontare di 4-5 miliardi di tonnellate totali) e quello situato a rilevante profondità , il cui costo sarebbe esorbitante rispetto ai ricavi finali.
Ai ritmi attuali le riserve di uranio effettivamente utilizzabili potrebbero già  essersi esaurite entro il 2050. Lo sostiene Yogi Goswami condirettore del Clean Energy Research Centre dell’Università  della Florida, in un’intervista al quotidiano Decchan Cronichle dello scorso settembre5.
I giacimenti di uranio accertati sul pianeta sono stimati in 4-5 milioni di tonnellate. Un consumo di 69.000 tonnellate annue li esaurirà  in 42 anni. O forse la metà , se come sembra il numero delle centrali raddoppierà  entro i prossimi venti. Con la conseguenza che quando tutti i reattori saranno pronti non ci sarà  più combustibile per alimentarli.
Le tecniche di riprocessamento, che porterebbero al reimpiego delle scorie già  esauste, sono attualmente in fase di studio o comunque non prolungherebbero la disponibilità  di uranio in misura significativa.

A onor del vero, secondo gli analisti un aumento del costo dell’uranio non comporta necessariamente un aumento del prezzo dell’energia prodotta. Questo perché l’uranio per il 5-10% sui costi operativi, mentre gli idrocarburi incidono per l’80%. Ma chi ci assicura che le compagnie che avranno in gestione le centrali non ricaricheranno il prezzo ad ogni minima oscillazione delle quotazioni del combustibile, esattamente come l’arbitraggio che i colossi petroliferi esercitano sul prezzo del greggio?
Non dimentichiamo che in ogni caso il nucleare coprirebbe solo una fetta del nostro fabbisogno energetico, la cui parte del leone sarebbe sempre e comunque appannaggio dei combustibili fossili.

Una conclusione. Che le rassicurazioni sulla sicurezza delle centrali che (si spera non) avremo sul nostro territorio e le lodi sui benefici dell’energia prodotta sono ben poca cosa di fronte ai rischi che l’opzione nucleare comporta, lo sappiamo tutti.
Ma l’aspetto più perverso e più inquietante del (non) dibattito sul nucleare è la carenza di informazione. Se i sostenitori dell’atomo ripetono come un mantra che non si decide sull’onta dell’emozione, si può rispondere che non si decide neppure se non c’è informazione.
Le millantate promesse del governo sull’indipendenza energetica si scontrano con una realtà  ancora più allarmante di quanto non suggerisca l’evidenza.
Se prima credevamo di dover importare uranio per far funzionale le centrali, ora rischiamo di costruire le centrali e di doverle chiudere poco tempo dopo per carenza di combustibile.
Giusto in tempo per accollarci tutti i costi e i rischi di questa scelta senza neppure aver goduto dei vantaggi.

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Note

1 http://www.nytimes.com/2010/11/17/business/energy-environment/17FUND.html

2http://www.stonehengemetals.com.au/uiacdocs/2011/RBCUraniumMarket_China.pdf

3 http://www.nuclearnews.it/news-299/cina-corsa-alluranio/

4 Dati IAEA

5 http://www.iaea.org/newscenter/news/2010/uraniumfuels.html

6 http://www.oecd-nea.org/press/2008/2008-02.html

7 http://www.deccanchronicle.com/node/176597/print


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