Giustizia, le riforme goccia a goccia che producono iniquità  e incertezze

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Sconfinata, dunque, sarebbe la prateria del consenso per legislatori che ponessero mano a una seria «manutenzione» di risorse, regole e contrappesi del sistema giudiziario. Peccato che la dichiarata intenzione meno di un mese fa della maggioranza di legiferare «per i cittadini» una «epocale» riforma della giustizia sembri sinora assumere curiose traduzioni. Infilano un emendamento che allarga in maniera generica la responsabilità  civile dei magistrati, proprio nelle settimane in cui tre giudici d’appello del lodo Mondadori sono in camera di consiglio a decidere se l’azienda del «cittadino» Berlusconi deve o no pagare 750 milioni di euro per risarcire De Benedetti dei danni di una sentenza che la Cassazione ha stabilito comprata 20 anni fa da un avvocato dell’odierno premier nel suo interesse. Investono la Consulta del tentativo di dirottare il processo Ruby del «cittadino» Berlusconi sul Tribunale dei Ministri, alla cui eventuale richiesta di giudizio si sa già  che 314 parlamentari negherebbero l’autorizzazione a procedere con la stessa nonchalance con la quale hanno trangugiato la storiella di Ruby nipote di Mubarak. Votano domani alla Camera un’altra chirurgica limatura di 8 mesi alla prescrizione degli incensurati, in modo che, combinata al taglio già  di 5 anni propiziato dalla legge Cirielli nel 2005, incenerisca subito a maggio il processo Mills del «cittadino» Berlusconi e lo liberi dalle ambasce di dover convivere fino all’anno prossimo con l’incubo di una condanna in primo grado per corruzione giudiziaria. E poi piazzano al Senato una norma che impedisca ai Tribunali di sfoltire le liste di testi da elenco telefonico, in modo che il «cittadino» Berlusconi, nel processo sui diritti tv Mediaset dove oggi ascolterà  discutere proprio della superfluità  o meno della moltitudine di testimoni citati dalle difese, possa contare sul fatto che le eccezioni dei suoi avvocati legislatori trovino comunque accoglienza in Parlamento nella legge caldeggiata dai suoi legislatori avvocati. «Dal produttore al consumatore» può essere insegna confortante per i prodotti in salumeria, dove le leccornie di uno fanno l’utilità  gastronomica di tutti, ma per le leggi sulla giustizia è deprimente in Parlamento, dove l’impunità  per uno è ottenuta sacrificando i diritti di molti, le aspettative delle parti lese, gli interessi degli imputati. Chi in passato aveva patteggiato sulla base delle regole vigenti, in futuro con la prescrizione breve vedrà  salvarsi i coimputati che a non patteggiare erano sembrati matti, e che ora invece le ultime estrazioni della «ruota della fortuna» legislativa agganceranno al «trenino» degli interessi processuali del premier. E chi ieri vittima di un reato nutriva qualche affidamento su un ristoro in giudizio, domani andrà  a ingrossare la fila delle parti lese con un pugno di mosche in mano nei 170 mila fascicoli che ogni anno vanno in prescrizione già  con le regole attuali. Prima e più ancora dell’impatto quantitativo sui processi, a dover dunque essere temute sono la strage qualitativa dei principi, l’iniqua disparità  di trattamento goccia dopo goccia di norme estemporanee, la (in) certezza del diritto prodotta dal caotico stratificarsi di norme irrazionali e contraddittorie: appunto come la prescrizione breve agli incensurati, che va nella direzione opposta del «pacchetto sicurezza» di appena il 2008, e che nel solco della Cirielli fa discendere da qualità  soggettive, come l’essere incensurati o recidivi, l’interesse oggettivo dello Stato a perseguire due autori ad esempio della medesima truffa per addirittura 3 anni di tempo in meno o in più. Visto che lo contrabbandano «processo europeo» , di europeo in tema di giustizia potrebbero prima fare qualcos’altro. Magari allinearsi alla direttiva per i pagamenti delle imprese da parte della Pubblica amministrazione in 30 giorni, anziché nei 128 di media che strozzano la dovuta liquidazione alle aziende di 37 miliardi di euro (il 2,4%del Pil): ma stranamente per l’approvazione definitiva dello Statuto delle imprese licenziato sinora in un ramo del Parlamento, un po’ come per la desaparecida nuova legge sulla corruzione annunciata più di un anno fa, non sembrano essere convocate sedute-fiume di ministri e peones, precettati invece per votare la prescrizione breve del processo Mills. Neppure farebbe male un approccio «europeo» ai numeri veri della giustizia, ad esempio per abbandonare il ritornello stantio dei 5 milioni di cause civili pendenti, quando ben 1 milione (cifra che da sola libererebbe nei tribunali più sprint di qualsiasi piano di «rottamazione» di cause fatte smaltire a cottimo da giudici non di professione) dipende già  solo dal contenzioso previdenziale dell’Inps, scaricato sugli uffici giudiziari da ambiguità  normative e furbizie elettorali. All’ «europea» andrebbero benedetti sia un meno barocco sistema di notifiche, capace di finirla con la farsa di sentenze che «saltano» per una notifica fatta anni prima bene a un avvocato ma male al domicilio del codifensore, e di azzerare i vizi formali che ogni giorno fanno rinviare 12 processi su 100; sia lo stop ai processi agli imputati irreperibili, per sgravare i tribunali dall’ingolfamento di questi processi ai «fantasmi» che l’Europa ritiene appunto tutti nulli, e che allo Stato costano però decine di milioni di euro di inutile «gratuito patrocinio» . E più di tutto è forse il carcere che il legislatore dovrebbe rendere «europeo» , tanto più che nel 2009 dalla Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo arrivò la prima condanna dell’Italia per aver detenuto una persona in meno di 3 metri quadrati a testa: eppure oggi i detenuti in più rispetto alla capienza delle celle sono 22.280 persone, cioè 2.500 più di quanti fossero quando 15 mesi fa quando il governo dichiarò lo stato di emergenza e pluriannunciò un piano-carceri. Segno che solo sugli spot non cala mai la prescrizione.


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