Procedure semplificate per i rimpatri ma la scommessa è lo stop alle partenze

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ROMA – La trattativa tra Roma e Tunisi è dunque chiusa e il suo esito definisce quello che sarà  il percorso con cui Palazzo Chigi, da oggi, conta di «rientrare dall’emergenza». Un piano che lascia molto freddo persino il ministro dell’Interno Roberto Maroni e che, all’osso, per quanto ne riferiscono fonti qualificate del Viminale, funzionerà  così: i 20 mila profughi che hanno lasciato la Tunisia all’indomani della caduta di Ben Alì e sono arrivati in Italia, qui resteranno, ospiti delle strutture regionali di prima accoglienza. Quantomeno il tempo necessario ad ottenere un permesso di soggiorno temporaneo per motivi umanitari che il presidente del Consiglio si prepara a riconoscere con decreto legge e che gli consentirà  di circolare liberamente all’interno del nostro Paese. In attesa che ulteriori accordi bilaterali dell’Italia (con la Francia ad esempio) ovvero decisioni collegiali in sede europea estendano la loro libertà  di movimento all’intera area dei Paesi Schengen. Chi, al contrario, di qui in avanti, prenderà  il mare per raggiungere le nostre coste sarà  immediatamente respinto e riconsegnato alla Tunisia. Senza alcun passaggio amministrativo intermedio, come accade oggi per i provvedimenti di espulsione. Con scaglioni la cui consistenza numerica verrà  definita nel dettaglio dalle autorità  di polizia dei due Paesi e comunque non più limitata ai «cinque cittadini al giorno» come volevano i vecchi accordi bilaterali. Insomma, una “sanatoria” a monte che riconosce, nei fatti e come voleva il governo di Tunisi, il carattere straordinario dell’esodo e la necessità  di una risposta umanitaria. Ma insieme a lei, una promessa di “inflessibilità ” per il futuro che dovrebbe scoraggiare nuovi sbarchi, placare la pancia dell’elettorato leghista e le smanie dei governatori di centro-destra. Se funzionerà , lo dirà  il tempo. Che, del resto, non dovrebbe essere lungo. Il presidente del Consiglio si prepara infatti nelle prossime ore alla firma di un decreto legge che, richiamando l’articolo 20 della legge Bossi-Fini, riconoscerà  ai profughi tunisini ancora in Italia quel permesso di soggiorno temporaneo per motivi umanitari che dovrebbe raffreddare la tensione all’interno delle tendopoli. Un provvedimento da cui dovrebbero essere esclusi solo quei profughi che dovessero avere precedenti di polizia in Italia e che li trasformerà  da “invisibili” destinati senza distinzione all’espulsione, in cittadini tunisini con un documento elettronico in tasca. E il cui destino, in buona parte, dipenderà  a quel punto anche dagli impegni che l’Unione Europea vorrà  assumere. Il tempo dovrebbe anche dimostrare la reale capacità  delle autorità  tunisine di contenere l’esodo dei profughi. I tecnici del Viminale che, in queste ultime ventiquattro ore, hanno lavorato agli aspetti tecnici dell’accordo riferiscono di «un impegno credibile». Per il quale, di qui alle prossime settimane, verrà  sbloccata una fornitura di materiali da 100 milioni di euro destinata alle forze di sicurezza tunisine (sei imbarcazioni per il pattugliamento, dieci veicoli fuoristrada, apparecchiature elettroniche per il controllo notturno della navigazione) e che comunque, al momento, anche se era stata offerta dal Viminale, esclude qualsiasi forma di sorveglianza marittima congiunta. Un sostegno che in ogni caso apre, ma non esaurisce, il programma di cooperazione allo sviluppo per il quale, lunedì scorso, Berlusconi si è impegnato con Tunisi. E che dovrebbe vedere l’Italia, al di là  dei rapporti bilaterali, parte dirigente in Europa nel definire un piano complessivo di crediti allo sviluppo per circa 4 miliardi e mezzo di euro.


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