“L’Italia sbaglia ad alzare le difese non si ostacolano gli investimenti”

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WASHINGTON – Le misure che l’Italia prepara in difesa della Parmalat «sono contro le regole dell’Unione europea, al suo interno non si possono creare ostacoli agli investimenti». Del resto «il mito del protezionismo è tramontato» e anche i paesi dell’Europa meridionale devono «adottare ricette globali per la propria competitività ». Uno shock petrolifero non è da escludere, «tutto dipende dalla durata degli aumenti dei prezzi». Il rialzo dei tassi della Bce può rafforzare ulteriormente l’euro ma la Germania dimostra che «si può essere competitivi con un euro a 1,40 sul dollaro o a 1,60». L’eurozona non è fuori dal tunnel della crisi dei debiti sovrani, e se la Spagna è in grado di farcela da sola, «il Portogallo deve convincere i mercati». Nel suo studio di Washington parla a tutto campo Dominique Strauss-Kahn, il direttore del Fondo monetario internazionale. Ci rilascia questa intervista a pochi giorni dal summit di primavera che farà  il punto sugli scenari dell’economia globale. Sotto la sua guida il Fmi ha visto il proprio ruolo ingigantirsi durante l’ultima crisi, ed ha anche imboccato una strada diversa rispetto alla storia: per decenni questa istituzione fu vista come la longa manus del liberismo americano. Dsk, come l’abbreviano in Francia dove continuano le illazioni sulla sua candidatura all’Eliseo, è diventato il simbolo di un nuovo pensiero economico, la rivalutazione del ruolo dello Stato nell’economia. Una linea che gli vale gli anatemi della destra americana («un socialista francese alla testa del Fondo monetario!» s’indigna l’anchorman Glenn Beck della Fox News). Dalla proposta di tassare le transazioni finanziare alla denuncia contro le diseguaglianze, lei personifica una svolta nelle dottrine macroeconomiche, una riscoperta del ruolo dei governi. «Preferisco parlare di Stato anziché di governo, e includervi le banche centrali. Tutte le istituzioni della sfera pubblica devono fare di più. La crisi è stata chiaramente il risultato di una debolezza nelle regole, e ancora più di una debolezza nella supervisione; più in generale di un cattivo governo dell’economia di mercato». Lei ha invocato una globalizzazione più giusta. E’ ora di una marcia indietro, la riscoperta dei vantaggi del protezionismo nazionale? «La liberalizzazione degli scambi non è stata perfetta ma ha migliorato le condizioni di vita per centinaia di milioni di persone nel mondo. C’è meno avversione agli scambi mondiali oggi, rispetto alle manifestazioni di Seattle nel 1999. Nell’ultima crisi uno dei successi è che siamo riusciti a evitare il protezionismo. Si poteva temere, come reazione alla recessione, un aumento nelle barriere. Invece non è accaduto e questa è una svolta rispetto ad altre crisi precedenti come quella del 1929. Qualche forma di protezionismo c’è stata, non nel commercio estero, ma per esempio nel settore bancario: alcuni governi hanno chiesto alle banche nazionali di rimpatriare i propri attivi. Una reazione comprensibile ma sbagliata, perché ha sottratto risorse al commercio mondiale. Per un politico, in un paese dove le fabbriche chiudono sotto la pressione della concorrenza straniera, è comprensibile la voglia di proteggerle. Ma la storia ha dimostrato che questa è la risposta errata. E’ stato ampiamente provato che quando trionfa il protezionismo, tutti finiscono per stare peggio. In questa crisi il mito del protezionismo è tramontato». In Italia però il ministro dell’Economia sta preparando le difese contro una scalata francese alla Parmalat. Lei cosa ne pensa? «In questo caso non si tratta solo del protezionismo ma delle regole dell’Unione europea. Queste regole dicono che non ci possono essere limiti agli investimenti tra gli Stati membri». La fascia Sud dell’Eurozona è quella più colpita da bassa crescita, alta disoccupazione soprattutto giovanile. Qual è la ricetta adeguata per questi paesi? «Non esiste una ricetta per l’Europa del Sud, solo per l’Eurozona nel suo insieme. E’ finito il tempo in cui ogni paese poteva cercare soluzioni nazionali di fronte a problemi globali». A proposito di anelli deboli nella crisi dei debiti sovrani lei si è detto fiducioso che la Spagna se la caverà  da sola. Ma il Portogallo? «La situazione in Portogallo è diversa. Non tanto per il debito pubblico, ma per i debiti del settore privato, banche e imprese. Tocca al governo portoghese dimostrare ai mercati che sta prendendo le misure giuste». Lunedì qui a Washington lei ha fatto un esame severo della gestione dell’Eurozona, parlando di un approccio “in ordine sparso” ai suoi problemi. «L’Eurozona è affetta da una mancanza di governance collettiva. La sfiducia che la colpisce non è solo il risultato di una carenza di politiche ma di un vuoto di leadership. A livello centrale l’Unione europea è costruita in modo da essere inadatta a navigare in una tempesta. Tutti lo vedono: i mercati, i cittadini, i sindacati. Ma non tutti sono sicuri che ci sia un pilota sull’aereo per guidarlo nella direzione giusta». La Bce si appresta ad alzare i tassi per prevenire l’inflazione. La Federal Reserve aspetterà  più a lungo, dando la precedenza al rilancio dell’occupazione. Questa divaricazione non finirà  per rafforzare ancora l’euro, danneggiando la nostra competitività ? «Non so se ci saranno rialzi dei tassi nelle prossime ore o nei prossimi giorni. L’inflazione è un grosso rischio per i paesi emergenti che hanno economie surriscaldate, non altrettanto per i paesi sviluppati. La Bce e la Fed reagiranno in base alle loro sensibilità  diverse. Un aumento dei tassi può avere un impatto sui cambi ma ricordiamoci che se l’euro oggi vale circa un dollaro e 40 centesimi due anni fa era a 1,60 e la Germania andava bene lo stesso. Il livello del cambio non dev’essere usato come una foglia di fico, per evitare i cambiamenti necessari. La Germania è la prova che si può essere competitivi a 1,40 e a 1,60. La Bce farà  quel che ritiene giusto in vista del suo obiettivo d’inflazione. Certo un aumento dei tassi non aiuterà  la crescita, ma non credo che il cambio sia un ostacolo di rilievo». Ha deciso se si candiderà  alla presidenza della Repubblica in Francia? «Mi ha fatto tante domande sull’economia globale, ce n’è abbastanza per riempire la mia giornata».


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