A Treviso la marcia degli industriali “Questo governo è incapace di riforme”

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TREVISO – Nella provincia più leghista d’Italia (45 per cento delle preferenze alle elezioni di due settimane fa) si sono alzati in piedi in tremila per ascoltare l’inno di Mameli. E già  questa sarebbe notizia. Ancor di più perché è accaduto davanti a un impassibile Luca Zaia, governatore della regione e leader del Carroccio nel Veneto. Ma i quasi tremila imprenditori che ieri hanno animato l’assemblea annuale dell’associazione degli industriali di Treviso, una delle prime per numero di iscritti e per peso specifico, non si sono limitati a prendere le distanze dalla politica locale.

Ieri, sfilando a piedi per un paio di chilometri, dal tendone allestito allo stadio del rugby fino alla nuova sede dell’associazione disegnata dall’archistar Mario Botta, hanno voluto prendere le distanze anche da quel centrodestra che negli ultimi tre anni hanno appoggiato con convinzione, ma da cui ora si sentono traditi. Una sorta di marcia di allontanamento da chi – ai loro occhi – ha mancato l’appuntamento a cui tenevano di più, quello con le riforme, a cominciare dal fisco, dalla burocrazia e dalla semplificazione amministrativa.
«La nostra sarà  una marcia silenziosa e simbolica, per dimostrare che gli imprenditori, sanno camminare con le proprie gambe, di contare sulle proprie forze» ha annunciato dal palco il presidente Alessandro Vardanega, un medio imprenditore del settore costruzioni (la sua è una fabbrica di coppi e tegole), che ha così dato la sua versione del «siamo pronti a batterci fuori dalle imprese» annunciato solo ventiquattro ore prima dal presidente di Confindustria Emma Marcegaglia. La quale, ieri pomeriggio, sfidando un acquazzone violento – che si attenuato giusto in tempo per il corteo – ha sfilato a sua volta alla guida del serpentone di industriali trevigiani, Non prima di aver chiarito che la sua uscita all’assemblea di Roma «non significa un mio ingresso in politica». E non prima di essersi tolta qualche sassolino dalle scarpe: «Se c’è qualcuno che pensa che mi dimetta prima della fine del mio mandato si sbaglia. Manca ancora un anno e finché starò qui lo farò con i miei modi». Ma ieri, non era la sua giornata, ma quella degli imprenditori che, forse, più di altri hanno rappresentato per anni il modello del Nord-est. E che hanno voluto con un gesto eclatante, mostrare al Paese tutto la loro delusione. Lo ha fatto per tutti il presidente Vardanega, ma lo hanno ripetuto le singole voci durante la sfila per i vialoni della periferia di Treviso.
Se il giorno prima Marcegaglia aveva detto che la politica ha perso «dieci anni di tempo», il numero uno degli industriali di Treviso ha parlato di «un Paese che non cresce da 15 anni». Di una «diffusa frustrazione per la permanente incertezza e per il peso di fare impresa in una realtà  troppo spesso ostile». Ma se l’è presa anche con il federalismo: «Non deve diventare soltanto una ripartizione su base territoriale di imposte che già  corrispondiamo e che gli enti locali avranno la possibilità  di aumentare».
A difendere l’operato del governo ci ha provato in tutti i modi il ministro Maurizio Sacconi, che qui è di casa essendo nato a Conegliano Veneto, e che pure gli industriali trevigiani hanno detto di aver apprezzato per quanto ha fatto al Welfare: «Condivido la protesta contro chi blocca le imprese, anche le borghesie nel loro piccolo si incazzano». Per cercare si smussare i toni della protesta avrebbe chiesto di partecipare alla marcia, ma gli è stato risposto che non era proprio il caso. Del resto Vardanega, pur senza citarlo mai, ha sparato un paio di riferimenti che si possono anche leggere come la delusione per il leader che più li ha delusi, il premier Silvio Berlusconi, ma anche per la politica più in generale degli ultimi anni: «Siamo stanchi dei troppi programmi televisivi nei quali ogni sera va in scena il disprezzo dell’avversario e la negazione del confronto. Non si può subordinare ogni decisione ai sondaggi o i gradimenti della piazza. I veri leader politici, così come gli imprenditori esistono proprio per innovare rischiando». Ma, forse, parlavano già  del prossimo a cui affideranno le loro speranze di riforme.

 


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