La lotta dei precari: «Non siamo più disposti a tutto»

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Un diritto negato si può manifestare anche virtualmente: appuntando sulla camicia un logo scaricato sul pc di lavoro o sostituendo alla relazione da presentare ad un convegno, un rapporto sul precariato.
È quello che faranno alcuni archeologi sardi che oggi non potranno partecipare fisicamente allo sciopero generale indetto dalla Cgil: al posto dei risultati delle loro ricerche sul campo, questi precari della storia mostreranno ai colleghi più fortunati cosa vuole dire fare l’archeologo a tempo. Con il sindacato di Corso Italia oggi tornano in piazza i lavoratori più deboli, quelli per i quali lo sciopero non è un diritto: precari, nelle loro mille forme e sfaccettature, riuniti nel comitato «Il nostro tempo è adesso, il futuro non aspetta» o legati alla campagna nata in seno alla Cgil col nome di «Giovani Non più disposti a tutto».
Se potessero incrociarle tutte, il mondo del lavoro si ritroverebbe in un colpo senza otto milioni di braccia. Non sarà  così neanche oggi, perché molti dei quattro milioni di precari italiani dovranno continuare a lavorare, schiacciati dalla perenne minaccia che quello firmato per chi ce l’ha potrebbe essere l’ultimo contratto. Così si sono inventati altre forme di protesta, perché non si dica che oltre ai diritti scarseggiano di creatività . Per tutti lo slogan è: “Precari e precarie in sciopero”. «Per dire che ci siamo, per contarci, per manifestare la presenza anche di chi non potrà  fisicamente esserci, per raccontare la difficoltà  a scioperare del popolo a diritti zero», spiegano in un comunicato.
Saranno in tutte le piazze, in testa ai cortei: a Roma, a Napoli con Susanna Camusso, a Palermo, a Catania. Molti di loro si sono incontrati per la prima volta il 9 aprile, in occasione della prima mobilitazione de «Il nostro tempo è adesso» (www.ilnostrotempoeadesso.it, per scaricare il logo dello sciopero). Manifestano e propongono «che quando si versa oltre il 25% del proprio reddito all’Inps si abbia diritto alla maternità  o alla malattia», spiega Salvo Barrano, uno dei portavoce del movimento. «Chiediamo un welfare orientato alla persona, che preveda la continuità  di reddito nei momenti di difficoltà , di non lavoro. E pretendiamo che a lavori stabili corrispondano contratti stabili», riprende Barrano riferendosi anche al popolo delle finte partite iva. Perché a 14 anni dal pacchetto Treu, e a otto dalla legge 30, un bilancio è possibile: «Il precariato è un tumore che si sta mangiando il lavoro e quindi l’Italia».


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