“L’Italia guida la resistenza ora la maggioranza è con noi”

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NEW YORK – Italia-Germania? Il campionato dell’Onu è ancora lungo ma già  riecheggiano gli entusiasmi del mitico 4 a 3. Cesare Ragaglini, ambasciatore alle Nazioni Unite, non sarà  Gianni Rivera: però può già  contare 122 reti contro 70. Cioè i paesi che scendono in campo nella conferenza di Roma che corona la «resistenza» italiana. Contro i 70 che stanno con la banda dei 4 (Germania, Giappone, Brasile e India): il G4 che vuole stravolgere il Consiglio di Sicurezza imponendosi tra i nuovi membri permanenti.

Stavolta vinciamo?
«Beh, diciamo che stavolta siamo messi bene».
Da una parte quattro colossi spalleggiati dagli altri big d’Europa: Francia e Gran Bretagna. Dall’altra noi a mettere insieme un fronte composito che va dalla Cina al Pakistan. Perché siamo contrari a un Consiglio di sicurezza che sembrerebbe più rappresentativo e più forte?
«Sono quindici anni che si discute di riforma. Ma la soluzione dei G4 è rischiosa e ha portato a uno stallo. Il consiglio di sicurezza che conosciamo è quello uscito dalla Guerra Fredda…».
Appunto: gli equilibri sono cambiati.
«E cosa facciamo: fotografiamo l’esistente? E tra 5 anni magari ricominciamo tutto da capo… Ecco perché la nostra proposta ha convinto così tanti: compromesso e consenso».
Allargare il numero dei membri non permanenti allungandone la durata. E poi verifica tra vent’anni. Non è troppo come compromesso?
«Nella tradizione delle trattative dell’Onu: una soluzione intermedia. Il Consiglio continua a funzionare come ha funzionato».
Bene?
«La stragrande maggioranza dei paesi è contraria a soluzioni di forza. Perché dividersi? La nostra soluzione coniuga responsabilità  e flessibilità : indispensabili in un organismo complicato come l’Onu. La responsabilità  continua a risiedere nell’Assemblea generale che elegge i membri non permanenti. La flessibilità  è garantita dalla soluzione stessa: il Consiglio passa da 15 a 23/25 membri per garantire la rappresentatività  più ampia».
Con un seggio permanente per l’Unione Europea?
«È l’altra battaglia: su cui stiamo costruendo un consenso parallelo. Ma la prospettiva è più lunga».
Con noi la Cina che si oppone al Giappone, il Pakistan all’India e poi la Russia… Che ci facciamo dalla parte dei “cattivi”?
«Per la verità  ci sono anche Turchia, Messico, Argentina, Spagna, Corea del Sud. E c’è la presenza discreta degli Usa che non si sono dichiarati ma la cui posizione è nota. Le alleanze si costruiscono intorno alle individualità : ciascuno insegue ovviamente i propri interessi».
Via, ambasciatore, adesso che la Germania ha finalmente ceduto su Mario Draghi alla Banca centrale europea.
«Proprio gli eccellenti rapporti ci permettono di esprimere diversità  di vedute». 
Che cosa c’è davvero in gioco?
«Questa è una battaglia di tutti. La riforma non può risolversi – come vogliono i G4 – con un’iniziativa gladiatoria. Così l’Italia ha rispolverato il ruolo importante che qui ha sempre svolto».
Una vita da mediani: dal catenaccio siamo passati al contropiede?
«Ripeto: diciamo che stavolta in campo ci siamo schierati bene».

 


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Segnatevi questo nome: Henrique Capriles Radonsky. Trentanove anni, avvocato di origini polacche, nipote di immigrati scappati in America Latina dagli orrori dell’olocausto. à‰ il neoeletto candidato alle elezioni presidenziali del prossimo 7 di Ottobre in Venezuela. Non si tratterà  di elezioni qualsiasi.

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