Thyssen pronta a smobilitare da Terni

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ROMA – I tedeschi della ThyssenKrupp potrebbero vendere lo stabilimento degli Acciai speciali di Terni, dove lavorano quasi 3 mila persone, e quindi andarsene dall’Italia. È una delle possibilità  previste dal piano di ristrutturazione globale del gruppo approvato il 5 maggio scorso, che prevede lo scorporo dalla conglomerata delle produzioni dell’acciaio Inox (quello che si fa anche nell’impianto umbro) e di quelle legate al settore automotive, per un totale di 10 miliardi di fatturato l’anno. Salteranno 35 mila posti di lavoro nel mondo su un totale di circa 180 mila addetti. Un piano del tutto indipendente rispetto alla sentenza della Corte d’Assise di Torino che ha condannato l’amministratore delegato della divisione italiana, Harald Espenhahn, a sedici anni e mezzo per la strage del 2007 nell’impianto torinese dove morirono bruciati sette operai.

Tuttavia è piuttosto strano che sabato scorso Espenhahn abbia sostenuto alle Assise della Confindustria a Bergamo che la Thyssen non intende andarsene dall’Italia (e per questo sarebbe stato calorosamente applaudito dagli industriali, secondo la versione della Confindustria) mentre il piano di riorganizzazione non lo esclude, ma anzi lo pone come una delle possibili opzioni attraverso la vendita dell’impianto.
I dettagli del piano, e dunque le ricadute sull’area ternana, saranno resi noti dopodomani, venerdì 13 maggio, al termine della riunione del Consiglio di sorveglianza che si terrà  ad Essen, headquarter della multinazionale.
Di certo la Thyssen guidata dal cinquantenne Heinrich Hiesinger ha deciso di separare da sé la produzione degli acciai speciali. Una scelta già  compiuta dai concorrenti dell’ArcelorMittal che ha dato vita a Aperam. Il mercato mondiale dell’acciaio, anche per effetto della recessione, si è trasformato profondamente negli ultimi tre anni con il ruolo da protagonisti interpretato in particolare dai paesi del Bric (Brasile, Russia, India e Cina). C’è più instabilità , maggiori speculazioni, e i produttori occidentali fanno fatica a reggere il passo dei concorrenti dei paesi emergenti avvantaggiati dai costi più bassi, a cominciare da quello dell’energia, fattore decisivo in un settore energivoro come quello della siderurgia. I margini sempre più risicati e la stessa sovracapacità  produttiva mondiale finiscono per imporre i processi di riorganizzazione.
Il cambio di strategia della Thyssen, però, è legato molto alle difficoltà  finanziarie del gruppo il cui indebitamento ha raggiunto i 5,8 miliardi di euro.
Per Terni si profilano tre opzioni: la vendita, un accordo con un altro concorrente (le voci parlano insistentemente di un possibile merger proprio con Aperam), la cessione delle quote in Borsa. Incertezza, dunque. Anche se nessuno può escludere lo scenario peggiore, quello del disimpegno della Thyssen nonostante i rilevanti investimenti realizzati negli anni e che hanno fatto delle acciaierie ternane un sito molto efficiente. «La vendita dell’impianto di Terni – ha detto Marco Bentivogli, segretario nazionale della Fim-Cisl – sarebbe una misura drammatica. Una beffa, dopo che i tedeschi, negli anni Novanta, hanno comprato lo stabilimento dall’Iri a prezzi sostanzialmente di favore. Serve un confronto a livello europeo, tra la capogruppo e i sindacati europei, perché altrimenti si finisce per combattere, ad armi impari, una guerra tra i lavoratori della multinazionale».


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