Haiti, ma quale ricostruzione

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Secondo Usaid, infatti, il numero di morti causati dal sisma sarebbe molto inferiore ai 200/250mila dichiarati dal governo Preval (in carica durante i concitati momenti post sisma) e si attesterebbe fra i 60 e gli 80 mila . Non solo. Sarebbero solo poche migliaia, sempre secondo Usaid, le persone che attualmente vivrebbero nelle tendopoli allestite dalla comunità  internazionale. Poco più di 630 mila quelle dichiarate dall’attuale amministrazione. Ma perchè una battaglia sui numeri? Forse, come sostengono a Port au Prince per speculare sugli aiuti umanitari arrivati subito dopo il sisma.

“Dire oggi quanto sia il denaro contante che è arrivato a Haiti è praticamente impossibile. Dire anche se questo denaro sia stato distribuito, e a chi, per iniziare la ricostruzione del paese è altrettanto difficile. La ricostruzione haitiana non ha avuto un momento in cui è iniziata. Almeno io non me ne sono mai accorto”, dice R. professionista haitiano vicinissimo alla popolazione e alla società  civile che soffre e che da mesi è sotto minaccia di qualche gruppo ancora non definito, infastidito dalla sua attività  in favore della ricostruzione del Paese e che spesso è costretto a riparare all’estero per mettere al sicuro se stesso e la sua famiglia.

“Non ci sono notizie in merito ma sarebbe stato studiato un programma per iniziare i lavori di ricostruzione del sistema scolastico. Essendo andato tutti in frantumi dopo il terremoto del gennaio 2010 bisogna mettersi di buona lena e ricostruire le strutture crollate. Ma non basta. Bisogna ricostruire il corpo docente che ha subito perdite pesanti a causa del sisma. E ancora non basta; bisogna ricostruire le strade che portano alle scuole e la rete di servizi che le rendono fruibili: mensa, area ricreativa, classi dotate di computer e laboratori. Mi chiedo e chiedo alla comunità  internazionale: come è possibile che sia così lenta tutta la macchina della ricostruzione? Di chi è la responsabilità  di tutta questa lentezza? A chi si devono appellare i miei concittadini? Io adesso mi sento un po’ colpevole di non essere lì con loro. Non posso stare in città  perché con le mie azioni in favore dei più deboli devo aver pestato i piedi a qualche gruppo criminale. Di fatto, però, quello che posso dire con certezza e che le giornate proseguono come prima. Tutti alla ricerca di un modo per arrivare a fine giornata con un piatto caldo da dare ai figli. Questo è davvero l’unico pensiero che in questo momento attraversa la mente del 90 percento dei cittadini haitiani. Per quanto riguarda la ricostruzione invece, io sono pronto a scommettere che se mi telefoni fra due anni sarò ancora qui a raccontarti le stesse cose di oggi. Haiti è un paese morto da decenni”.


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