La rivoluzione del «bene in comune»

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 Con il successo del 30 maggio si è venuta a realizzare una perfetta armonia tra democrazia della partecipazione e democrazia della rappresentanza. Finalmente la nuova rappresentanza politica non sarà  più espressione di scelte burocratizzate e calate dall’alto, ma al contrario espressione di idee, azioni e pratiche sociali rappresentate da cittadini attivi che hanno svolto negli anni la propria azione politica al di fuori delle istituzioni. Così come la raccolta del milione e mezzo di firme per il referendum contro la privatizzazione dell’acqua è stata possibile perché alle spalle c’è stato un lavoro continuo e costante dei comitati locali che hanno declinato le istanze partecipative attraverso il conflitto, il controllo, la proposta, così il «fenomeno partenopeo» che, come ripete de Magistris, è già  «oltre Berlusconi», è stato possibile grazie al fermento sociale presente nel territorio.
Napoli da anni soffriva della presenza di una «cappa» soffocante, espressione di un blocco politico e sociale trasversale che impediva alle energie diffuse, soprattutto rappresentate dai giovani, ma non solo, di potersi esprimere. Tuttavia negli ultimi dieci anni queste energie e la voglia di fare politica a Napoli si sono progressivamente imposte e hanno trovato i canali per potersi esprimere, anche grazie alla presenza di personalità  straordinarie come quella di Alex Zanotelli. Le battaglie per i diritti e la difesa dei beni comuni hanno costituito elementi di aggregazione, di informazione e formazione permanente che hanno rappresentato la base indispensabile per una partecipazione politica «vera», reattiva a qualsivoglia forma di cooptazione e strumentalizzazione. La classe dirigente e quella parte di borghesia corrotta e indifferente rispetto allo sfascio della città , chiuse nei loro palazzi, non hanno percepito l’aria rivoluzionaria del cambiamento, non hanno realizzato l’irrompere del nuovo fenomeno politico, l’insorgere delle nuove soggettività  politiche. Insomma, come spesso è accaduto nella storia, la nuova classe dirigente di Napoli si è formata nelle tenebre della democrazia, con sofferenza, rigore, umiltà , idealità  e molta passione. Chi ha frequentato da vicino queste realtà  ha potuto percepire uno iato profondo in termini qualitativi e di sensibilità  politica e sociale tra il mondo della partecipazione diffusa e le istituzioni rappresentative. Da una parte, studi e analisi approfondite e pragmatiche per la migliore e più avanzata gestione della cosa pubblica, dall’altra azioni tese a conservare il potere e soprattutto a conservare loro stessi e i loro privilegi.
Napoli è pronta per far partire un nuovo e importante laboratorio politico, unico in Italia per la situazione che si è venuta a realizzare, in grado di esprimere e gestire nuovi modelli di governo pubblico partecipato dei beni comuni e nuovi modelli di sviluppo sostenibile. Le nuove soggettività  politiche, che con Luigi de Magistris hanno trovato la giusta rappresentanza, potranno dar luogo nei prossimi anni a sperimentazioni della politica, cambiandone stile, comportamenti, linguaggio.
Si è avviata dunque una nuova stagione: i migliaia di giovani di piazza Municipio che lunedì sera festeggiavano la vittoria di Luigi de Magistris non erano soltanto «arrabbiati», così come vuole far credere la stampa conformista, e non esprimevano sentimenti di antipolitica, ma piuttosto la ferma volontà  di riconquistarsi con gioia il diritto al presente e al futuro, ben consapevoli che gli ultimi mohicani arroccati nei palazzi non concederanno nulla e tutto dovrà  essere conquistato con lotta, impegno e coerenza. Io credo che proprio da Napoli possa partire un nuovo modo di far politica in grado di portare benefici agli stessi partiti. Da Napoli dovrà  partire la Costituente internazionale dei beni comuni, a dieci anni dal Social forum di Genova.


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