Liberalizzazione delle professioni gli avvocati del Pdl sul piede di guerra

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ROMA – Intesa raggiunta, rivolta domata. Nel Parlamento occupato da intere file di avvocati (42 solo alla Camera e solo del Pdl) la norma contenuta nella manovra finanziaria di liberalizzazione della professione forense ha avuto cinque ore di vita. Comparsa nel primo pomeriggio, è scomparsa prima che facesse notte in virtù della resa incondizionata del governo sottoscritta dal ministro per gli Affari regionali Raffaele Fitto.
«E’ stata raggiunta l’intesa tra maggioranza e governo». L’ordine professionale non sarà  più abolito, come si temeva. La rivolta è stata guidata da Maurizio Paniz, (l’avvocato noto per aver chiesto al Parlamento di ritenere verosimile la parentela di Ruby con l’ex presidente egiziano Mubarak), e dunque divenuto assai influente. Paniz ha raccolto in pochi istanti un ingente numero di sottoscrizioni sotto un messaggio chiarissimo: «I nostri voti non ci saranno». Già  prima che la raccolta di firme si concludesse, i ministri avvocati facevano filtrare la massima solidarietà . Ignazio La Russa: «La protesta non è irragionevole». Il deputato responsabile Elio Belcastro, avvocato, si trasformava intanto in irresponsabile e dettava alle agenzie: «Io questa manovra non la voterò se la norma non si ritira».
La rabbia si è commutata in tumulto quando è stata paventata, nell’intento di moralizzare la vita politica, anche l’incompatibilità  assoluta degli incarichi di parlamentare e consigliere regionale con quello di sindaco e presidente della Provincia. I deputati, molti dei quali uniscono (anche senza cumulare lo stipendio) poltrone e relativi onori, sono apparsi sconcertati e indispettiti. Il Parlamento ha infatti in questi anni allargato le maglie delle diverse compatibilità  favorendo il cumulo possibile di incarichi anche relativi all’amministrazione di medie città .
Gli occhi erano tutti puntati al Senato, lì si cucinavano gli emendamenti legati ai nuovi vincoli di bilancio, lì l’azione di rafforzamento della severità  della manovra economica. E da palazzo Madama è subito giunta la voce di Maurizio Gasparri, capogruppo del Pdl: «Il tema è già  superato. La formulazione della norma sugli ordini professionali a cui molti si riferiscono con preoccupazione riguarda un testo che non c’è». L’annuncio della sbianchettatura è giunto così rapido che alcuni colleghi di Gasparri, non sapendo della retromarcia, hanno proseguito a dare voce all’astio verso il governo. «Il governo si deve occupare del pareggio di bilancio, e non di questioni come la liberalizzazione delle professioni che già  ci hanno visto al tempo delle lenzuolate di Bersani, mobilitati contro», ha detto l’architetto Fabio Rampelli.
Antonio Di Pietro, anch’egli avvocato, ha lasciato due parole sui taccuini: «Pensano solo ai fatti loro». Il suo compagno di partito, e collega del foro di Venezia, Massimo Donadi: «Si inalberano perché non c’è professione più corporativa della nostra. Hanno voglia dell’Ordine, di qualcosa che custodisca e selezioni. Ci sono pure delle buone ragioni, ma il modo in cui si pongono è inaccettabile».
Mezz’ora dopo la retromarcia governativa. Niente liberalizzazione per l’esercizio della professione di avvocato, nessun vincolo al cumulo di incarichi. Felici e sazi per la guerra lampo, il plotone di legali che popola il Parlamento si è diretto a cena. Finalmente senza pensieri.


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