Mafia, arrestato il fratello di Totò Riina

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PALERMO – «Se c’è un fiore, c’è un fiore per tutti», andava ripetendo il fratello minore di Totò Riina, Gaetano, ai giovani mafiosi che cercavano di accaparrarsi i soldi delle estorsioni. Parlava da vecchio padrino lui, anche se non ha mai avuto una condanna per mafia. Bastava il cognome ad aprirgli le porte dei summit fra Corleone a Trapani, anche al cospetto degli emissari dell’ultimo latitante, Matteo Messina Denaro.
Il settantottenne Gaetano Riina, arrestato ieri mattina, era ormai di fatto il consigliere anziano della famiglia di Corleone. Anche se faceva di tutto per non atteggiarsi a capomafia e fingeva di essere ancora un tranquillo pensionato con casa sul lungomare di Mazara del Vallo. Di certo, non sospettava di essere intercettato dai carabinieri del Ros e del Gruppo Monreale. Continuava a dispensare consigli e ordini, soprattutto per le estorsioni.
«Perché oggi Cosa nostra ha soprattutto un problema, quello di far fronte alle ingenti spese per i carcerati e gli avvocati», dice il generale Teo Luzi, comandante provinciale dei carabinieri.
Si lamentava persino la moglie di Riina, Ninetta Bagarella, perché la sua rendita mensile era stata decurtata. E le lamentele riguardavano anche il nuovo reggente di Corleone, il trentatreenne Giuseppe Grizzaffi, pronipote dei Riina: la signora Ninetta lo definisce un vastaso. E al figlio Salvuccio diceva in carcere: «Tuo cugino ha fatto tutto all’insaputa nostra». Si riferiva a un misterioso tesoro di immobili gestito da alcuni prestanome.
Ecco perché Gaetano Riina era stato chiamato a dare migliori consigli a Grizzaffi e a un altro giovane mafioso che gli era stato affiancato, il trentanovenne Alessandro Correnti, suo cognato. Anche loro sono stati arrestati. La verità  è che Giuseppe Grizzaffi aveva pure il vizio del bere. Ma quel posto di capomafia gli spettava per successione, da padre (in carcere) a figlio.
Passato e presente di Cosa nostra si rincorrono nell’indagine della Procura di Francesco Messineo, che è stata coordinata dal sostituto Marzia Sabella e dall’aggiunto Ignazio De Francisci. I dialoghi intercettati fra i nuovi mafiosi di Corleone sembrano appena usciti da una puntata dei Soprano: come i padrini televisivi più famosi d’America, i boss appaiono spesso in crisi (e non solo economica). Diceva Correnti a Grizzaffi: «Se non siamo capaci neanche di avvicinare il gestore della pompa di benzina nel centro di Corleone è meglio che ci ritiriamo». E per imporre il pizzo tutti e due invocavano il «nonnino» Gaetano Riina.
Quando parlava lui, invece, sembrava di assistere a una saga del padrino di Coppola. «Quelli che indagano quaquaraqua sono», sentenziava. E ai suoi spiegava: «Con Totò ci capiamo con uno sguardo». Poi, attaccava con il ritornello preferito: «Mio fratello è solo una povera vittima, perché la politica l’ha voluto distruggere». Gaetano Riina non aveva da difendere solo un cognome. Discuteva animatamente con i giovani mafiosi anche per custodire i confini stabiliti trent’anni fa dal fratello. Così ribadì ai rampanti di San Giuseppe Jato, che volevano addirittura erodere un pezzo di territorio a Corleone, e acquisire il diritto a riscuotere il pizzo: «Con queste teste moderne non si ci parla. Ho detto che il confine è in quell’albero, e rimane tale. Io vedo più lontano di voi». Ma l’anno scorso, un commando di sicari uccise uno degli imprenditori che pagava il pizzo al clan di Corleone. Fu uno schiaffo ai Grizzaffi e ai Riina. Ed è ancora un’incognita che preoccupa i magistrati. Chi sono i nuovi mafiosi che cercano di farsi spazio nella storia dei boss corleonesi?


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