San Raffaele, stipendi garantiti Il Vaticano studia i primi tagli

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MILANO – Il nuovo cda del San Raffaele taglia i ponti con l’era Don Verzè e vara le prime misure di razionalizzazione dei costi necessarie «per mettere in sicurezza nel medio termine» gli stipendi dei 4mila dipendenti del polo ospedaliero. Enrico Bondi e Renato Botti, i due super-consulenti incaricati dal Vaticano di mettere a punto il piano di salvataggio del gruppo messo in ginocchio da un miliardo di debiti, hanno presentato al consiglio (assente il sacerdote veronese) i primi risultati sul lavoro di ricostruzione contabile dei bilanci della Fondazione Monte Tabor. Il quadro – ha ammesso ieri durante l’incontro con i dipendenti il vicepresidente Giuseppe Profiti – è «confuso ma non drammatico». L’attività  sanitaria è redditizia mentre si sta ancora cercando di avere una fotografia reale dello stato di salute finanziario delle controllate estere e delle diversificazioni volute da Don Verzè, compito affidato alla società  di consulenza Deloitte.
La tabella di marcia è giocoforza spedita. Bondi, forte della sua esperienza in Parmalat, ha concentrato la sua attenzione sulle partite più delicate e ad alto rischio per riuscire a capire in tempi brevi se tra le pieghe del bilancio della fondazione si nascondono buchi neri simili a quelli che trovò a Collecchio a fine 2003. Se la situazione rimarrà  quella attuale, però, come si augurano tutti, il nuovo consiglio dovrebbe riuscire a mettere a punto un piano industriale credibile entro il 15 settembre, il limite posto dalla procura di Milano prima di chiedere il fallimento del San Raffaele.
I documenti interni del Vaticano non si precludono ancora nessuna strada, concordato preventivo compreso. L’obiettivo sembra quello di separare del tutto il business ospedaliero dal resto del gruppo (che verrebbe ricapitalizzato dal Vaticano), vendendo gli asset non strategici. L’argomento non è stato, comunque, all’ordine del giorno del cda di ieri.
Nei prossimi giorni – un nuovo consiglio è atteso per venerdì 5 agosto – Deloitte assieme allo studio Gianni Origoni Grippo, consulente legale dell’operazione, proveranno a far luce sul vorticoso giro di denaro con le partecipate estere che ha contribuito a scavare il buco nei conti.
Nelle scorse settimane la Fondazione Monte Tabor ha già  provveduto a dare per persi 25 milioni di crediti verso la controllata Finraf che però le deve ancora qualcosa come 45 milioni. Deloitte ha classificato come di difficile recuperabilità  anche 6,2 milioni di prestiti al Monte Tabor italo-brasileiro e 2 alla misteriosa cassaforte di Vaduz Joseph Foundation.
I sindacati – malgrado le assicurazioni sulle buste paga ricevute ieri dal cda – hanno espresso viva preoccupazione per il l’assenza «di un quadro preciso sulla situazione finanziaria», come indicato dal segretario generale della Funzione Pubblica Cgil Lombardia, Marzia Oggiano. E per questo hanno assicurato che manterranno alta la soglia di vigilanza. Un nuovo appuntamento è stato fissato con il vertice del San Raffaele per fare il punto della situazione il 24 agosto.


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