“Pareggio” in Costituzione, ecco la riforma più poteri allo Stato ma no a tetti alla spesa

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ROMA – Un documento di lavoro in sedici punti per cambiare la Costituzione. Quattro pagine per introdurre nella Carta fondamentale il pareggio di bilancio. Dello Stato, ma anche di tutte le pubbliche amministrazioni. Eccolo, il “simbolo del rigore” richiesto dalla Bce per dimostrare che l’Italia fa sul serio: un esplicito riferimento ai vincoli stabiliti dall’Europa su deficit e debito (tranne in casi eccezionali come le crisi), un ritorno allo Stato che coordina la finanza pubblica e controlla i bilanci degli enti locali (questo avrebbe evitato il crac di Taranto e Catania, ad esempio). Il nuovo assetto non rischia di legare le mani al Paese? Se volessimo spendere di più, «allora ci sono gli eurobond», risponde all’obiezione il ministro Tremonti che ieri ha accennato al piano in Parlamento.
Si parte dunque da qui per modificare l’articolo 81 e rendere vincolante quanto si prova a fare in questi giorni con la manovra: il deficit zero. Ovvero, «non puoi spendere più di quello che prendi». «Da un certo punto in poi l’articolo 81 non ha più funzionato», premette Tremonti, ricordando come la volontà  disattesa dei padri Costituenti (la copertura delle spese con le entrate), «a partire dai primi anni ’70», abbia creato il «mostro» del debito pubblico. Di qui la necessità  di dare un segnale mentre lo fanno «ovunque dalla Francia alla Polonia», certificare «la fine di un’epoca» e così «costringere a scelte di rigore».
Tremonti chiede alla politica «un disarmo plurilaterale e uno spirito costituente». Le modifiche prevedono un iter lungo. Almeno sei mesi. «Un primo voto sul testo sarebbe già  un grande risultato», auspica Tremonti. In ogni caso, l’ingresso in Costituzione sarà  posticipato al 2015, come dice la bozza, o forse anche al 2014. Comunque solo dopo il pareggio reale di bilancio del 2013.
Il documento divide la materia in due tronconi: l’articolo 81, sul pareggio, e un 81 bis, sulla redazione di bilancio che raccoglie i commi già  oggi esistenti. Infine, le modifiche conseguenti agli articoli 117 e 119 sulla potestà  legislativa e l’autonomia finanziaria degli enti locali. Il modello ricalca la proposta, «la più significativa», di Nicola Rossi, senatore ex Pd ora gruppo misto, e di una ventina di parlamentari bipartisan. Tuttavia la decurta di un elemento centrale: pareggio di bilancio con un tetto alla spesa pubblica del 45%, per «evitare che tutte le manovre si spostino sul fronte delle tasse per mantenere quel pareggio».
«Me l’aspettavo, è il punto politicamente più ostico, ma vorrei poter discutere quel vincolo», commenta Rossi.
Le uniche eccezioni al pareggio sono previste per «fasi avverse del ciclo economico» e per la spesa per investimenti degli enti locali. Nel primo caso, se si va in rosso nei “bad times”, i giorni difficili, si deve recuperare nei “good times” (entro 5 anni, dice un’ipotesi). Ancora vago il punto dei controlli ex ante ed ex post. Potrebbero essere affidati a un’autorità  fiscale indipendente (“fiscal council”). Così come fumoso è il punto sulla «ripartizione delle eventuali sanzioni europee tra Stato e autonomie», in caso di sforamento.


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