Solo un Leviatano può salvarci

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 Rossana Rossanda, riflettendo sulla crisi che attraversa l’Europa, poneva «agli amici economisti e ai padri e padrini (di battesimo cattolico) della Ue» una domanda evidentemente retorica: «Non c’è stato qualche errore nella costituzione della Ue? E come si ripara?» (…) Inizio con una constatazione che a me pare del tutto evidente. Un fallimento vero e proprio si è avuto, è avanti a noi. È insieme istituzionale, politico, culturale. Può scadere in un catastrofico default finanziario. È il fallimento dell’Unione europea come disegnata dai Trattati. Ne investe il principio politico, quello del neoliberismo cui questi Trattati si ispirano. È quindi il fondamento su cui si erge l’intero e complesso edificio istituzionale denominato Ue che viene travolto dal default. Non lo si dichiara, non lo si vuole ammettere. Anzi, si continua a fingere che siano valide e obbligate le strategie e le tattiche derivanti dal principio fallito, quello di “un’economia di mercato aperta ed in libera concorrenza”. Il Trattato di Maastricht lo pose come primario, fondante, assoluto, quelli successivi lo hanno confermato. Per ribadirne il primato, difendendolo dalle eccezioni di qualche giudice costituzionale come il Tribunale costituzionale tedesco di Karlsruhe, il Trattato di Lisbona ha ribattezzato come “sociale” l’economia di mercato cui l’intero ordinamento istituzionale è finalizzato. Le ha imposto però di essere “fortemente competitiva”. Deve trattarsi della stessa competitività  che persegue Marchionne. (…) Fu tale concezione dell’economia che indusse i redattori dei Trattati europei a disegnare, costruire, definire istituzioni, poteri, organi, procedimenti, atti normativi, di indirizzo, amministrativi, giurisdizionali, di controllo senza però che potesse esserci un governo dell’economia. Si pensava che una Banca garante della sola stabilità  dei prezzi bastasse, perché a governare avrebbe provveduto il mercato. (…) Mai un’aggregazione umana a forma stato era comparsa nell’esperienza giuspolitica del mondo priva di un organo di governo. La si volle così fatta. Chissà . Si pensò forse di integrare le forme di stato sperimentate nella storia delle istituzioni. Un intento gigantesco, del tutto singolare. Si è rivelato disastroso. (…) La crisi attuale ne è l’ulteriore dimostrazione: dietro l’angolo della decrescita si staglia la sagoma della bancarotta. Gli interventi pubblici adottati e richiesti per parare il pericolo e rimuoverne i fattori dimostrano la loro ineluttabilità . Con essa la prova incontestabile del fallimento del neoliberismo realizzato. Apprendo, nello scrivere queste note, che dai colloqui tra Merkel e Sarkozy, è emersa la decisione di creare un governo economico europeo. Una lacuna grave ed assurda verrebbe quindi colmata. Non so se sarà  costituito in tempo per prevenire il peggio. Ben venga comunque. (…) È del tutto evidente infatti che la crisi non è solo europea. Ha una origine più lontana e profonda. È strutturale, incombente, globale. (…)

Rossana domanda come riparare. So di osare molto ma ci provo. Riprendo una riflessione maturata da tempo. Invoco il Leviatano, il soggetto-stato, titolare per eccellenza del potere normativo. Innanzitutto per denunziarne la responsabilità . Quella di un’abdicazione concertata tra tutti gli stati per insieme delegare al mercato la regolazione del mercato. Una delega senza limiti e senza criteri direttivi che ha così privilegiato, tra tutti gli esseri umani e contro tutti gli esseri umani, gli attori del mercato finanziario. Attori che si sono rivelati per quello che erano e che potevano essere: responsabili dello spostamento più consistente della ricchezza prodotta dai salari ai profitti e della più massiccia ed estesa compressione dei bisogni elementari delle donne e degli uomini del mondo. (…)
Sia chiaro. Che l’economia reale abbia bisogno del sistema finanziario per poter adeguatamente funzionare è più che ovvio. È disastrosa invece la rottura del rapporto di funzionalità  dell’uno nei confronti dell’altra, è il distacco dell’uno rispetto all’altra che determina effetti perversi, specie se il valore dell’uno aumenta vertiginosamente ed enormemente rispetto a quello verso cui è, e dovrebbe essere servente. Il che, se dipende in primo luogo dall’avidità  sconfinata, irresponsabile e certamente criminale degli agenti del sistema finanziario, è da imputare soprattutto alla deregulation, all’abdicazione degli stati a favore del mercato. Non è vero che i mercati hanno espropriato gli stati. È vero, invece, che gli stati hanno abdicato a favore dei mercati. Non è vero che la globalizzazione ha esautorato gli stati. Li ha solo indotti ad esercitare congiuntamente il loro potere per corrispondere alle esigenze della globalizzazione. Le cui istituzioni sono infatti gestite dai commissari che rappresentano in esse gli stati ed agiscono sulla base delle attribuzioni che, mediante specifici Trattati, gli stati conferiscono a tali istituzioni, internazionali o sovranazionali che siano. (…)
La crisi che, dal 2007, con varia intensità , tormenta non soltanto l’Occidente ha alla sua origine la liberalizzazione dei capitali, la deregolazione permanente imposta da trenta anni dall’ideologia neoliberista. Ne è derivata la devoluzione del potere di governo agli attori del mercato. Non è un sospetto diffuso dai critici del capitalismo. Lo si ricava da una indagine dell’Onu. Viene spontaneo domandarsi quanti possano essere gli attori dei mercati finanziari. Pare che non superino i dieci milioni. Dieci milioni di individui hanno nelle loro mani le condizioni di vita di miliardi di donne e di uomini. Gliele hanno affidate gli stati in nome del neoliberismo, del totem dell’economia di mercato aperta ed in libera concorrenza.
Qualche ragione quindi c’è per chiedere agli stati che così come hanno congiuntamente abdicato, così congiuntamente devono riacquisire i poteri per i quali furono inventati, esercitandoli con sapienza e con rigore. Tra questi poteri, quello di attribuire alle entità  istituzionali che hanno creato e che creano gli strumenti istituzionali adeguati ai compiti che assegnano a tali entità . Non lasciando, come ad esempio in Europa, senza regole e senza organi, il governo dell’economia. Ma dettando regole ed istituendo organi che il mercato lo governino e lo governino in funzione di quegli interessi che hanno un valore non misurabile in termini di profitto. Vanno quindi richiamati ai loro doveri, gli stati, a quelli che sono esattamente i loro compiti. A richiamarli, sostituendo gli attori del sistema finanziario che finora li hanno dominati, devono essere i milioni, milioni e milioni di donne e di uomini che ne sono state e ne sono le vittime. A chiederlo agli stati è la democrazia, la fonte della loro legittimazione. Ad imporlo deve essere la politica, se non ha dissolto la sua ragion d’essere.
Testo integrale su La rotta d’Europa www.ilmanifesto.it e sbilanciamoci.info


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