Una emerrgenza, tre condizioni

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Il Consiglio dei ministri, in programma forse oggi, è chiamato a prendere decisioni dolorose che ci auguriamo vadano nella direzione del rigore, della crescita e dell’equità . Le prime due condizioni sono necessarie per recuperare la fiducia dei mercati e abbassare l’onere del rifinanziamento del debito pubblico. La terza, l’equità , è indispensabile per convincere famiglie e imprese dell’utilità  dei sacrifici. Siamo in emergenza, bisogna fare in fretta e tentare di spegnere l’incendio che minaccia un intero Paese, gran parte del quale, per lavoro e intelligenza, la tripla A, il massimo di giudizio dei mercati, la merita da sempre.
Cominciamo dal rigore. Gli interventi prospettati dal titolare dell’Economia (ma lo è ancora di fatto?) appaiono inevitabili, sia sul lato delle pensioni d’anzianità  sia su quello della tassazione delle rendite finanziarie, ma vanno accompagnati, meglio preceduti, da un drastico taglio del personale e dei costi della politica.
Io, piccolo lavoratore, imprenditore, risparmiatore, posso rimboccarmi le maniche (e rinunciare a qualche festività ) se serve al mio Paese, ma pretendo che burocrati, parassiti della politica, ed evasori siano seriamente contrastati e non premiati, come a volte questo governo ha fatto.
Promuovere la crescita è questione di vitale importanza, tanto quanto l’anticipo, come chiede la Bce, del pareggio di bilancio al 2013. Bene la privatizzazione dei servizi locali (chi lo dice alla Lega che l’ha sempre avversata?), così come il risveglio di una a lungo sopita volontà  liberalizzatrice.
L’equità  è la terza condizione ma non l’ultima. Se sarà  necessario un contributo straordinario oltre una certa soglia di reddito (la patrimoniale appare esclusa e non è la migliore delle soluzioni) sarebbe auspicabile che avesse un vincolo di destinazione del gettito, per esempio a favore del lavoro dei giovani. Misure una tantum, però, non avendo effetti strutturali, rischiano di essere alla fine inutili. La necessaria riforma del mercato del lavoro è importante che rispetti la libera determinazione delle parti sociali, dando maggior peso alla contrattazione aziendale. Provvedimenti che contrastino quello che Tremonti ha definito «l’abuso dei contratti a tempo determinato» sono auspicabili.
Rigore, crescita, equità . Manca un quarto elemento: uno spirito nazionale che consenta un dialogo costruttivo fra governo, opposizione e sindacati. Non possiamo permetterci scioperi e distinguo di comodo. Non c’è tempo per governi tecnici e altre maggioranze. Occorre dare un segnale forte, il più possibile condiviso. Con un supplemento di responsabilità  nazionale. A cominciare dal governo che per troppo tempo, anche nelle analisi millenariste del suo immaginifico ministro dell’Economia o nella pervicace e colpevole sottovalutazione dei problemi da parte del premier, ha dato prova di averne assai poca. Il mondo non è cambiato cinque giorni fa, come ha detto ieri Tremonti. È cambiato molto prima. Avessero ascoltato di più le voci critiche e fossero stati meno intolleranti…


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