Crisi del debito. Madrid e Roma, due stili di crisi

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Nel settembre 1996 tra Spagna e Italia ci fu un incidente diplomatico. Ad alcuni giorni di distanza dal vertice annuale che si tiene tra i governi dei due paesi e che quell’anno si svolse a Valencia, in Spagna, José Marà­a Aznar dichiarò al Financial Times che il primo ministro italiano Romano Prodi gli aveva proposto di rimandare congiuntamente l’ingresso dei due paesi nella moneta unica affinché risultasse meno doloroso uniformarsi ai tre requisiti previsti dal trattato di Maastricht: bassa inflazione, deficit sotto il 3 per cento e un indebitamento pubblico inferiore al 60 per cento del pil.

Con il suo solito stile, Aznar aveva precisato al quotidiano britannico che la Spagna era in condizioni eccellenti e non aveva motivo alcuno di attendere chicchessia. Prodi, messo sotto pressione dalla politica di austerità  che i criteri di adesione gli imponevano, non ebbe quindi altra scelta se non quella di smentire le proprie dichiarazioni e far stringere ancora la cinghia al suo paese con un’imposta eccezionale, tra le più impopolari che si ricordino: l’eurotassa.

Nel 1997 l’Italia è rientrata nei parametri imposti da Maastricht (Helmut Kohl chiuse gli occhi sulla questione del debito pubblico) e qualche mese dopo Romano Prodi perdette la maggioranza in parlamento. Gli italiani sognavano di poter tornare a spendere e l’imprenditore Silvio Berlusconi li seppe persuadere bene.

Settembre 2011: i due paesi rischiano un nuovo choc nei confronti dell’euro. Mentre la Spagna ha appena effettuato una riforma lampo della Costituzione, l’Italia si gingilla sulla difficile adozione del suo piano di austerità , la manovra di cui sono state redatte e rese note già  tre versioni nelle ultime settimane, in un clima di insondabile confusione politica e di vigorose contestazioni sindacali. Questa estate gli italiani hanno preso atto del tenore delle richieste della Banca centrale europea per mezzo del Corriere della Sera e in Spagna il governo continua a smentire l’invio a Madrid da parte della stessa Bce di una lettera che minaccia di intervenire direttamente. Lettera che esiste davvero.

Caro vecchio catenaccio

La Spagna è più facile da rimettere in riga dell’Italia, e lo si vede bene in questi ultimi giorni. Malgrado il suo incorreggibile orgoglio, Madrid si mostra più obbediente quando la situazione si fa grave. È un paese più verticalizzato, se vogliamo, nel quale i sindacati sono poco potenti e il movimento del 15 maggio (quello degli indignados) non è che una sorta di sommossa sprovvista di un programma, un’esplosione a intervalli. Ad aprire qualche prospettiva sono le elezioni che si terranno il 20 novembre. Si chiuderà  così un ciclo, e José Luis Rodrà­guez Zapatero si dà  un gran daffare per preservare la propria immagine, costi quel che costi. È logico. Sa di essere vulnerabile in questo periodo catastrofico che vive il Psoe, e sa anche che l’estrema destra non si preoccupa di questo dettaglio. E ha deciso di prendere le sue precauzioni.

L’Italia, invece, offre maggiore resistenza al Direttorio, con il metodo del catenaccio, la strategia difensiva del calcio. È il paese delle aziende di famiglia, delle società  più o meno segrete e dei diritti acquisiti. La sua economia è più ermetica. La presenza straniera nell’industria e nelle banche italiane è limitata, il debito pubblico è concentrato nelle mani dei risparmiatori nazionali. Berlusconi è in declino, ma nessuno può sostituirlo a breve termine. L’Italia vive seguendo un ritmo tutto suo, e un improvviso crollo dei suoi equilibri interni potrebbe rivelarsi devastante per l’Europa. Il Mezzogiorno è una polveriera. Gomorra non vi dice niente?

I tedeschi ne sono consapevoli, ed è per questo che giudicano assolutamente indispensabile che la Spagna si impegni in una disciplina ferrea. Questo spiega, tra le altre cose, la celerità  dei parlamentari nel riformare la Costituzione spagnola. (traduzione di Anna Bissanti)


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