Se fossi seduto al posto di Tremonti

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Il commercialista a cena non è famoso come Tremonti, ma qui in zona ha una vasta reputazione riguardo ai modi per non pagare le tasse. Farla finita con l’evasione è il segreto di Pulcinella, sentenzia, basta vietare davvero i pagamenti in contanti sopra i 500 euro, anzi meglio sopra i 100. La tracciabilità  dei pagamenti, si chiama così, negli ultimi anni è andata su e giù: si fissò un tetto massimo, e pletorico, solo perché lo impose l’Europa; poi il governo Prodi (e Padoa Schioppa e Visco) ha fatto più sul serio, tra il 2006 e il 2008; poi, alla vigilia dell’entrata in vigore del tetto di 100 euro per i pagamenti ai professionisti, 1° luglio 2008, Berlusconi mandò tutto a monte e si tornò a 12.500 euro, nella manovra d’estate 2010 si ridiscese a 5.000, dimezzati a 2.500 dalla manovra di Ferragosto. Ora il programma del Pd vuole scendere a 1.000, e dai 300 in giù per i compensi di prestazioni e servizi.
È un’idea che non piace ai liberisti, e bisogna riconoscere che i liberisti siano molto più simpatici degli statalisti – se l’alternativa fosse ancora questa. Non lo è. All’Istituto Bruno Leoni, per esempio, piacque la dichiarazione di Berlusconi 2008, secondo cui la tracciabilità  è efficace sì contro il riciclaggio e l’evasione, ma è tipica di «uno Stato di polizia tributaria». E però fra lo Stato di polizia e il fiume di contanti che passa da cassieri e segretarie di B. a ruffiani scrocconi estorsori e signorine, c’è una vasta gamma di opzioni. Nella stessa circostanza Tremonti dichiarò che limitare l’uso dei contanti non è una soluzione: «Non riduce l’evasione. Complica la vita dei cittadini onesti e rende odioso lo Stato». Si è dimenticato perfino del 1° maggio e del 25 aprile e del 2 giugno, si sarà  dimenticato anche dei 4.000 euro in contanti per l’affitto d’amicizia che versava brevi manu all’on. Milanese. Tremonti ora sembra aver cambiato (un po’) opinione, e scommette sulla lotta all’evasione.
Caso interessante, come assumere un hacker pentito per sventare la pirateria. Chi meglio di lui, dice il mio commensale commercialista, saprebbe come fare per colpire gli evasori? Già , ma bisogna essere pentiti davvero, e soprattutto prendere per le corna l’elettorato di un Paese che nei sondaggi è al 90 per cento furioso contro gli evasori e nel reddito dichiarato al 35 per cento non arriva ai 15.000 euro all’anno, e solo al 2 per cento supera i 74.000. «L’evasione in Italia supera i 130 miliardi. La cifra attesa dall’Economia rappresenta dunque il 3,2 per cento della stima totale. Vincenzo Visco, quand’era ministro delle Finanze, recuperò in un esercizio 30 miliardi dall’evasione» (Scalfari, domenica). Non so voi, ma io, quando i parenti stranieri mi chiedono lumi sulla tragicommedia italiana, benché non mi sfugga nemmeno un mignolo dell’anomalia costituita da Berlusconi e Bossi e tutta la banda, rispondo per prima cosa che gli italiani agiati non pagano le tasse. Gli stranieri, se fossero qui in questi giorni, si divertirebbero molto a sentire che, in una estrema emergenza, la misura d’eccezione cui il governo ricorre è il contrasto all’evasione fiscale: e se no, direbbero, quando le cose sono normali, è normale evadere le tasse? Certo, e anzi il governo aiuta a farlo, e lo rivendica.
La questione degli stranieri e della Bce e dell’Europa e dello spread, induce a ripensare alla storia d’Italia, di cui, correnti di lunga durata e svolte repentine, si torna a parlare, per ammazzare il tempo a un capezzale disperato. Direi che l’idea secondo cui all’Italia è mancata la Riforma protestante (e anche, veramente, quella cattolica) ha la sua essenziale controprova in questo: che nel resto d’Europa, dove più dove meno, risalendo la latitudine, la gente trova normale pagare le tasse, e in Italia lo trova buffo o oltraggioso. Cosicché in Italia ci sono persone eccellenti e robusti movimenti collettivi, ma fanno difetto i cittadini – quello che distingue il sondaggio dalla dichiarazione dei redditi. Se questo è vero, e la renitenza fiscale è insieme il deposito di una lunghissima (e non ingloriosa) storia ma anche la sua causa recente e incombente, allora il disastro grottesco di questi giorni può essere un’occasione.
Nella mia manovra fai-da-te due punti prevalgono su tutti, la tracciabilità  dai 500 euro in su, che è la soglia indicata anche dalla Cgil (meglio dai 100, alza il gomito dalla sedia accanto il commercialista), e una severa patrimoniale (accompagnata da un accordo con la Svizzera tale e quale a quello già  firmato da Regno Unito e Francia, raccomanda lui: gli svizzeri sono pronti, bastano 24 ore). «Con un freno al contante e un ricorso alle carte di pagamento (o comunque a strumenti tracciabili) in linea con la media europea – contante al 70% circa contro il 90% attuale – si potrebbe ottenere quasi lo stesso risultato ipotizzato dalla manovra ferragostana: fino a 40 miliardi di euro recuperabili»: così calcolava il Sole 24 ore. Aggiungerei che non basta condividere questi obiettivi – il Pd li ha messi a suo modo nel decalogo della sua contromanovra – ma occorre farne la bandiera di una mobilitazione, indignata e, per così dire, autoindignata. Che riempia le piazze, i registri e i siti di firme, le conversazioni private, i monologhi teatrali. Due parole d’ordine.
E il commercialista Tremonti? Mah. Scrisse un libro che approdava a Dio patria e famiglia. Anticipando il prossimo, da Rimini a Cernobbio, fa dello spirito imbarazzante sul tedesco lurco e Westfalia e Waterloo, e intanto promette di sanare il bilancio mettendo in galera chi evade per più di 3 milioni –alzi la mano! Era andato in una piazza di Bologna a fare battutacce sul sindaco Merola, che dovrebbe stare a Napoli, e sui sindaci futuri, che si chiameranno Ali, e i babà  e Alì Babà ; poi è andato anche all’inaugurazione dei ministeri padani a Monza. È un uomo capace. Di tutto.


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